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lunedì 30 giugno 2014

Corso Europa

Corso Europa. Detta così sembra uno di quei vialoni nelle zone di nuova espansione, dal quartiere ZEN di Palermo alle Vele di Scampia. Niente di tutto questo, Corso Europa è la via stretta e tortuosa che attraversa il centro storico del mio paese. Fino alla fine degli anni '60 si chiamava Via S. Onofrio, poi l'amministrazione comunale volle dare un tocco di modernità cancellando tutti i toponimi storici e affibbiando a casaccio nuovi nomi alle strade. Per dire, abbiamo una via intitolata a Cesare Battisti, patriota dell'irredentismo di Trento, proprio il personaggio ideale da essere omaggiato a Cannalonga, provincia di Salerno, Cilento interno!
Corso Europa è la via in cui quarantacinque anni fa sono nato, al numero 18, e dove tornavo ogni estate per le vacanze, a casa di mio nonno; composta di due lunghe file irregolari di antiche abitazioni a due piani che si fronteggiano per tutta la lunghezza della strada, a partire alla Piazza principale (ora, romanamente, Piazza del Popolo, in origine Piazza Mogrovejo dal nome dei feudatari locali), fino alla parte alta del paese, il cosiddetto "Paese a Monte". Giocavo sempre sulla strada, con gli altri bambini. Macchine ne passavano raramente, più spesso asini, maiali e greggi, mentre galline razzolavano allegramente nei fili d'erba che crescevano fra i sanpietrini sconnessi.
Davanti ad ogni porta, rigorosamente aperta dall'alba al tramonto, c'era un "posto", un gradino su cui le donne di casa sedevano, intente a cucire, rammendare, filare, "sgragnolare" fagioli o granturco, e soprattutto a chiacchierare fra di loro e a scambiare una parola con ogni passante.
Accanto a casa di mio nonno c'era un barbiere, Francesco, che mi fece il mio primo taglio accorciandomi le basette fino al cranio visto che ogni volta una era sempre più corta e doveva accorciare anche l'altra, ma gli veniva corta anche questa, e così via fino quasi alla sommità del capo.
E poi la bottega (la "potéa") di Tzi 'Nduccio, che ogni mattina preparava la squisita rosetta con mortadella e provolone e non aveva mai il resto giusto e ti dava in cambio gomme o caramelle.
Di fronte alla nostra porta c'era Antoniella Re Balandràno, viveva da sola, aveva cresciuto una figlia da ragazza madre e l'aveva sistemata a prezzo di grandi sacrifici. Stravedeva per me, e fino a pochi anni fa quando passavo di là mi ricordava sempre che bravo bambino che ero...
Zia Antoniella re Tzi Monaco, Tzi Francisco e Tza Maria Carmelia re Balandràno, Don Giovanni Pizzolante, il direttore dell'Ufficio Postale che stava a pochi metri, già ultrasettantenne e però accudito dalla mamma novantenne come un bambino, la sentivo chiamarlo e chiedere cosa voleva per pranzo, di riguardarsi, di non fare tardi...
Potrei parlarne per ore, ma non servirebbe che ad accrescere la malinconia insorta ieri al funerale di Tzi Minicuccio re 'o Barone, uno degli ultimi ad aver lasciato, quasi novantenne, la via della mia infanzia. Non c'è più il barbiere, né la potéa o l'ufficio postale, non ci sono più i miei nonni, non c'è Antoniella o Tzi Francisco, le case del centro storico sono quasi tutte disabitate, per strada non giocano più i bambini, stanno tutti chiusi in casa con lo smartphone e la vita vera non sanno neppure cosa sia, non hanno mai visto un asino, non ne hanno mai sentito il raglio.
 
Potrei raccontare mille storie di quella via, delle persone che ci vivevano, magari lo farò, se ne avrò la forza. Ma saranno racconti di seconda mano, perché stanno finendo coloro che hanno vissuto l'essenza delle cose, della socialità, di quel che veramente importa. Rimangono soltanto brandelli di ricordi, che si aggirano nella mente come stanchi fantasmi, chiedendo pace per non soffrire ancora e per non farci soffrire più, ma che ogni tanto mi donano un barlume di oblio. Perché sanno bene che io non voglio affatto andare in Europa lungo un sedicente Corso, ma amo ancora e amerò sempre perdermi nelle strettoie di Via Sant'Onofrio, fra sorrisi, lacrime per tempi e persone ormai scomparsi e le indimenticabili caramelle di resto.
 
 

lunedì 9 giugno 2014

Il contrario di tutto

Avverto una fitta ripetuta al lato del collo, penso ad un'arteria che si sta occludendo.
L'età è giusta - giusta? - per un infarto. Lo stress, la sedentarietà.
Chiamo un amico medico il quale mi tranquillizza, in un certo senso.
"Le arterie non fanno male, purtroppo. Se così fosse, potremmo prevenire molti problemi".

La lezione qual è? Quella del vecchio proverbio.
Can che abbaia non morde.
Abbiate paura soprattutto dei nemici silenziosi.
Quelli che tramano nell'ombra.
Il ladro che ti entra di soppiatto nella stanza mentre dormi.
Il vicino che appena esci, pure di notte, ti frega il posto auto.
Il cancro che ti corrode le viscere con una metastasi che scopri quando è inutile.

Ci sono persone delle quali ti ricordi soltanto quando muoiono.
Il tuo vecchio professore.
Quel cantante famoso ai tempi belli della tua gioventù.
Il calciatore del quale un tempo sognavi di ripetere le gesta.
La loro morte è l'occasione per ricordarti che sei ancora vivo.
E che una parte di te è morta per sempre.

Vivo in un piccolo paese, quando vado al cimitero conosco tutti.
Diciamo che ormai ne conosco più lì che per strada.
E certe volte, guardando le foto sulle lapidi, mi sorprendo ad essermi dimenticato che quella persona era passata a miglior vita. Perché magari non la vedevo più da tempo, e così per me, sostanzialmente era come se fosse morta da tempo, senza che avessi mentalmente registrato il suo trapasso.
Sono morti e però per me sono vivi ma come fossero morti.
Vivi morenti. Zombie al contrario.

Ci sono organi che se ti va bene ci passi la vita senza accorgerti di avere.
La colecisti. Il pancreas. Le ghiandole di Bartolini.
Il fegato. Alzi la bottiglia chi si è mai accorto di avere il fegato!
Che poi avere il fegato, in molti frangenti, sarebbe servito.
A cambiare davvero vita.
A vivere ogni giorno come fosse il primo.
Che è cosa ben diversa dal vivere come fosse l'ultimo secondo le frasi fatte.
Il carpe diem Oraziano è una stronzata.
Se sai che è il tuo ultimo giorno non penso proprio che te lo godi.
Il primo, vuoi mettere! Pensi di averne tanti altri, qualche sciocchezza te la potrai ben permettere, il tempo per recuperare c'è!

Invece io faccio sempre come lo struzzo.
Nascondo la testa nella rabbia, fino alla fine.

P.S. Questo post come il portiere incerto.
Che non sa proprio dove andare a parare.