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giovedì 30 ottobre 2014

Proust e la conserva di pomodoro.

Non è una novità. Ci aveva pensato il buon Proust nella Recherche, inzuppando nel te' e nell'immaginario collettivo di milioni di lettori le sue petit madeleine dotate del potere magico di sprigionare il ricordo di attimi già vissuti, già visti. Dejà vu.

Non è una novità, però ogni volta che accade questo piccolo miracolo si rimane colpiti dalla nitidezza della visione del passato che, come in una macchina del tempo, scaturisce da un gesto, un profumo, un oggetto, scrigni di antiche sinestesie che d'incanto ci riportano a quel tempo ormai perduto ma tanto ricercato.

Non è una novità, ma quel che mi è capitato credo abbia i connotati dell'eccezionalità.
Perché la mia occasionale petit madeleine ha svolto la sua funzione rievocatoria non solo per me ma anche per altri, da un punto di vista diametralmente opposto. E questo il buon Marcel non so proprio se l'avesse ipotizzato.

Ho ripreso la mia vecchia Fiat 500 del '69, per lunghi anni rimasta parcheggiata in garage, in realtà meritevole - con i suoi 350.000 km - di quel dignitoso pensionamento che a me, della sua stessa età, le riforme che si susseguono rendono sempre più utopistico. Così, per evitare questa ingiustificata disparità di trattamento ho pensato di farla tornare sulla breccia, forte dei suoi consumi ridotti e della sua capacità innata di trovare parcheggio dove non si sospetterebbe. Certo, la capote faceva acqua da tutte le parti, la ruggine si stava impadronendo della carrozzeria, il motore necessitava di un'aggiustatina, ma all'interno quel profumo, ragazzi, quel profumo... Quello buono di decine di viaggi Salerno - Milano e Salerno - Roma, con me incastrato nei mille pacchi e pacchettini con i quali i miei genitori la caricavano di ogni ben di Dio tutte le volte che, finite le vacanze, dal paese si ritornava in città. Quell'afrore di olio, vino, patate novelle, conserve, bottiglie di sugo di pomodoro, biscotti fatti in casa, e insieme di infanzia felice, di nonni, di bontà, di tanta vita davanti.

E poi, rimessa a nuovo, l'ho lanciata ancora una volta, dopo tanti anni, per le nostre piccole strade, dove all'inizio le persone che incrociavo a bordo delle loro non mi riconoscevano, abituati a vedermi in una macchina diversa, ma poi... poi è capitato che una persona dell'età di mio padre mi ha avvicinato raccontandomi la sua emozione nel rivedere in pista la gloriosa 500, la cui apparizione improvvisa l'aveva riportato ai felici momenti in cui, ormai quarant'anni fa, il suo caro amico Domenico tornava da Roma e il passaggio di quella macchinina simboleggiava qualche settimana di spensierate chiacchierate, partite a carte, passeggiate in montagna in cerca di funghi ma in fondo soltanto scuse per ritrovarsi e raccontarsi le loro vicende quotidiane di amici separati dall'emigrazione e dalle vicende della vita.
"Avvocà, che sciddico re còre, m'è parso ca tornava n'ata vota Minicuccio..."
No, ero soltanto io, ma l'emozione ce la siamo goduta insieme. Doppia.
Ed è stata l'occasione per giocare ancora una volta lo sport che mi riesce meglio: i tuffi nel passato.
Dai quali come al solito esco con gli occhi rossi.
Di pianto o di sugo, stavolta non importa.



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