Visualizzazioni totali

sabato 23 dicembre 2023

Guarda che non sono io

 

Certe mattine ci si sveglia con la speranza di essere qualcun altro. In un’altra dimensione, un te stesso che ha fatto altri percorsi, incontri, scelte. La sveglia suona e ti dici che magari è davvero così.

Poi suona anche il telefono e subito capisci che la dimensione deve essere sempre la stessa. Un sopralluogo in una casa di campagna, una divisione contestata, un litigio - sì, sebbene siamo tutti più buoni durante le feste, c’è ancora assurdamente qualcuno che litiga.

Ti rechi sui luoghi, ti fanno visionare gli immobili, da tempo non abitati. Il corridoio è buio, l’odore di chiuso, la camera da letto intatta, sotto un sottile velo di polvere. Come mai hanno disdetto la locazione?, chiede quello che in qualche dimensione è un legale, per capire come fondare il ricorso.

Perché da questa stanza si sentono durante la notte rumori infernali - gli risponde la cliente - la casa è infestata.


Certe mattine ci si sveglia con la speranza di essere qualcun altro, disse Dylan Dog che si era illuso ancora una volta di essere un avvocato di nome Giovanni Laurito.


venerdì 22 settembre 2023

Un giorno come un altro

Ieri sera sono andato a letto con un po’ di ansia per l’indomani. 

Ma cosa dovevo fare oggi? 

Mi sembrava fosse importante eppure non lo ricordo più. 

Apro l’armadio, scelgo un vestito buono. Non devo far brutta figura. 

Ma dove devo andare?

Esco, qualche goccia di pioggia. Dicono porti bene. Dicono.

“21 settembre”, suona familiare. 

Qualcosa che è la risposta a una domanda.

Qualcosa tipo “mi dica la sua data di nascita”. Ma quella è l’11 marzo. 

Qualcosa del genere, forse. Ma non saprei cosa.

Devo chiedere.

Chiamo. Devi essere indaffarata perché ci metti un po’.

Scusa, è il 21 settembre, cosa dovevo fare oggi? E tu ridi.

Qualcosa rimane, cantava De Gregori.

Ma non ricordo cosa.


Ieri sera sono andato a letto con un po’ di ansia per l’indomani.

Perché sapevo che mi sarei ricordato.

Esco, qualche goccia di pioggia. Dicono porti bene, ma è una stronzata.

Infatti, oggi è il 21 settembre e non significa più nulla.

sabato 3 giugno 2023

(De)formazione professionale

 

La stazione ferroviaria. Con l’ansia di partire.

La sala d’attesa di uno specialista. Con l’ansia di sapere.

Un corso di formazione. Con l’ansia di finire.

In tutti e tre i casi, per provare a mitigarla, a pensare ad altro, osservo le persone. E così faccio da qualche settimana, ogni giovedì pomeriggio, per far passare le tre ore di relazioni su argomenti anche interessanti ma la cui durata si scontra con il mio deficit di attenzione.

La donna con la mascherina, unica nella sala. Fa caldo e mi dico che ci vuole coraggio, il coraggio della paura, diceva Totò. Poi il tizio davanti a me tossisce di continuo, e allora la invidio, io ho solo paura, senza alcun coraggio.

L’uomo che fa domande inutili ai relatori, non perché è interessato ma per farsi notare. Già l’essersi collocato in prima fila manifesta il suo desiderio di non essere pubblico, ma di “avere” un pubblico.

Le lezioni si susseguono e ancora una volta si conferma il meccanismo mentale per cui anche in una sala vasta e con molti posti liberi a disposizione, le persone tendono a sedersi nello stesso posto della volta precedente.  E’ un criterio innato di delimitazione di uno spazio proprio, né più né meno di come fanno gli animali quando orinano lungo un perimetro per delimitarlo. Così ho fatto anche io, mi sono sistemato sempre nello stesso settore dell’aula, per fortuna le sedie erano libere e non c’è stato bisogno di pisciare, è bastato poggiare lo zaino per prendere il posto.

Vicino a me una donna che ugualmente ha individuato sin dalla prima lezione quell’area per seguire il corso. Anche gli abbigliamenti mi incuriosiscono. Di lei, per esempio, mi ha colpito il power dressing. Il corso è piuttosto informale, ma lei in quasi tutte le lezioni veste seria, formale, “da avvocato”. Come a voler riaffermare il suo ruolo in un contesto in cui è, mi pare, la più giovane. E mentre molti scherzano, chiacchierano fra vicini, ridono nelle pause o anche durante le lezioni, lei sta da sola e non sorride quasi mai, lo sguardo severo, prende appunti su ciò che ascolta. Non è venuta a perdere tempo, o almeno fa di tutto perché non sia tempo perso. O magari non sorride proprio perché sente che avrebbe potuto impiegarlo meglio, il suo tempo.

Poco distante, un’altra collega si lascia invece notare per i suoi outfits appariscenti e sempre cangianti. Una volta indossa un giubbino di pelle di un azzurro intenso e delle scarpe da ginnastica con le zeppe e i brillantini. Un’altra un pantalone rosso fiammante. Un’altra ancora un abito nero, leggero. Anche l’acconciatura dei capelli cambia molto, lievemente ondulati oppure mossi o addirittura coi ricci. Non fosse per il viso particolare, molto grazioso, e per gli occhi neri e acquosi, non sarebbe facile riconoscerla come la stessa persona, da una lezione all’altra.

I relatori si susseguono, la qualità degli interventi è altalenante. C’è chi è molto esperto, sa come tenere attento l’uditorio, e altri che non hanno tecnica oratoria, abusano di intercalari. La psicologa che infarcisce il suo intervento con una serie di “diciamo” e di “tra virgolette”. Tutto è tra virgolette, per lei, anche le cose più concrete che non si prestano affatto ad essere virgolettate. Molti intorno a me lo notano, c’è chi conta quante volte lo dica, chi si dà di gomito ad ogni ripetizione. La giovane collega accanto a me è già andata via, chissà se avrebbe sorriso, questa volta. 

sabato 20 maggio 2023

That’s all

“Questa data mi ricorda qualcosa”.


Prima era ogni giorno, poi a volte le cose cambiano e ti ritrovi a chiederti quando ci sarà l’occasione per scriverci ancora.

Un altro onomastico, un ultimo capodanno?

Aspetti una ricorrenza per avere la scusa di un “come stai” (domanda inutile), il Natale per gli auguri, tirati fino alla sera per non farli per primo, per non far sembrare che sei l’unico a cui importi.

Poi fra un messaggio e l’altro sempre più formali, passa il tempo e arriva un giorno che perfino il suo compleanno, che una volta pensavi per settimane cosa scriverle, ora quasi ti sfugge, lei si era già dimenticata il tuo. 

E sfuma così, ancora e ancora, l’amicizia che giuravamo eterna, la compagnia di cui sembrava non potessimo fare a meno, l’amore che a costruirlo faceva tremare le vene delle mani e a farlo cadere bastò un soffio di vento. 


Mi è sfuggito il tuo compleanno, a te era sfuggito il mio. 

“Questa data mi ricorda qualcosa”. 

E questo è.

venerdì 3 marzo 2023

Ridere, ridere ancora una volta.

Lui sorride, un sorriso così ampio che quasi l'apertura delle labbra sembra non bastare. Lei ride, addirittura. Di quelle risate che non le puoi trattenere e, se ci provi, si deformano in un ghigno. E così è stato, nell'attimo fermato dallo scatto fotografico in cui i due, abbracciati, trasmettono la loro gioia.

A me piace molto ridere. E vederlo fare a chi sta accanto a me, sia per una battuta che ho detto, o per una cosa divertente che abbiamo condiviso. Ridere è una forma d'intimità fra le più leganti, perché si nutre del contrasto fra la profondità dell'affinità di gusto e interessi e la superficialità della reazione spontanea. Ridiamo insieme e significa che in quel momento siamo noi e nessun altro, racchiusi nel cilindro verticale che va dal brillìo in fondo all'anima ai fuochi d'artificio del cielo.

Me le ricordo, alcune risate.
Quelle a scuola, mentre ci sussurravamo all'orecchio un motto, una celia e ci si contorceva per trattenersi senza sbottare dinanzi al prof che spiegava.
Quelle al telefono, in quelle chiacchierate di ore e invenzioni e giochi di parole e test strampalati in cui nessuno di noi voleva mai smettere.
Quelle a letto, nel momento sbagliato, che poi diventava ancora più giusto.
Quelle davanti al prete, dove perfino lui si tratteneva a stento, consapevole dell'inanità di quei comandamenti, e dove il senso divino - soprattutto per lui - era composto di due parole, la prima una preposizione, e la seconda una dipendenza.

Compagni, amici, amori. Passano gli anni, e restano solo i ricordi, di quelle risate. Perché ogni rapporto, che nasce nudo e leggero, si riveste giorno dopo giorno di panni pesanti e poi arriva il caldo e non riesci a toglierli e ci soffochi dentro.

Invece lui sorride di un sorriso così ampio che gli risale sulle guance, e le labbra sembrano quelle del Joker. Chissà dov'è ora la moglie, chissà dove i figli, mollati per inseguire quel sorriso. E lei, accanto a lui, ride addirittura. Chissà se quel ghigno racchiude un pensiero, un rimorso, per il compagno e i figli sacrificati sull'altare di quella risata, del santino di quella foto di loro due, abbracciati.

Forse sono gli scrupoli, quei panni pesanti. E se riesci a toglierteli di dosso ritorni a ridere come quella mattina a scuola, come quella notte a letto. 

La vita è una sola, e non sono certo io a poter dire cosa sia giusto e cosa sbagliato per gli altri. Posso solo sperare di riuscire di nuovo a sussurrarti una celia, un motto all'orecchio, e  per una volta ancora trasformare il nostro momento sbagliato in quello giusto. 

lunedì 9 gennaio 2023

L’intervista

L’appuntamento per l’intervista è sul lungomare di Ascea. 

Arrivo un po’ in anticipo - io arrivo sempre in anticipo - e lei non c’è ancora, nell’attesa faccio una passeggiata verso la scogliera. Ho percorso così tante volte questo tragitto che potrei quasi rifare i miei stessi passi, seguire le mie tracce. Magari mi ritroverei. Ne approfitto invece per definire meglio le domande che le farò. Parlerò del suo lavoro, certo. Ma come sempre accade saranno le risposte a orientare le domande, a scegliere al bivio quali strade imboccare. Magari vorrò sapere se i sogni al mattino li ricorda, o se si è mai chiesta perché le persone amano così tanto fotografare i tramonti e mai le albe. E come ci arriverò? Farò un gioco di parole cretino fra l’albo cui è iscritta e le


albe? Chissà.

Alla scogliera c’è parecchia gente, anche se siamo ai primi di gennaio. Ma il tempo che conta è sempre quello percepito. Ci sono diciotto gradi, è primavera, si va sulla spiaggia con un tempo così. 

Torno indietro, ormai sarà arrivata. Le chiederò anche dei termini per l’approvazione del bilancio e con quella scusa le domanderò un bilancio dell’anno appena trascorso e anche - il bilancio di previsione! - che cosa si aspetta dal nuovo. Se saranno cambiamenti, scostamenti, sforamenti, se cerca un equilibrio o se preferisce investire. Magari sorriderà a queste domande sciocche, ma non è lo scherzo il modo più semplice per dire la verità? 

Sono ormai arrivato all’altezza del lido Poseidonia, non lontano dall’appuntamento. Una coppia di anziani davanti a me cammina silenziosa tenendosi per mano. Chissà se è un sostegno o una catena, quella mano stretta. Forse potrei capirlo dal loro sguardo, ma li supero senza voltarmi: mi piacciono da sempre i finali aperti. Soprattutto quando la trama è stata lunga: che poi il tempo che conta, l’ho detto prima, è solo quello percepito. Sembra ieri che ci siamo conosciuti ed era trent’anni fa. Stiamo insieme da un anno e sembrano mille. Nella vita non c’è l’inoppugnabilità per decorrenza dei termini: può sempre finire e allo stesso tempo non è mai finita finché non lo è. 

Ecco Zucchero & Cannella, il lido dal nome improponibile: è lì che dovevamo vederci per l’intervista. È arrivata, ma è in compagnia. E non so cosa fare. Il mio solito vizio di arrivare in anticipo e di aspettare fino a far tardi. Sorride elegante come sempre mentre la brezza le accarezza i riccioli neri di medusa. Forse mi vede, non ne sono sicuro. Non voglio disturbarla ancora, continuo a seguire le mie tracce, magari stavolta mi perdo. Tanto le domande le ho preparate e c’è un bel po di strada da fare. Troverò anche le risposte. Intanto il sole sta tramontando in un incastro perfetto di colori che non ho mai visto in un’alba.

Ed ecco la prima.

venerdì 28 ottobre 2022

In giustizia

 Guardarsi in giro in tribunale è come essere in una stazione ferroviaria.

Incroci per un po’ le vite degli altri, alcuni turisti per caso, altri pendolari come te. C’è l’avvocato che ha tante cause, entra ed esce dalle aule spavaldo, e quello che ne ha una sola, forse in assoluto, e inchiodato alla sedia scrive verbali interminabili di parole inutili e suda, un po’ in imbarazzo quando tocca a lui come se attendesse chissà quale esito e invece è solo un rinvio. C’è la collega graziosa con gli occhi dolci e chissà perché sempre un po’ tristi, e quella disinvolta che pattina nel corridoio su tacchi alti come sgabelli. C’è il testimone illuso che sbuffa perché credeva l’orario sulla citazione fosse rispettato e il cancelliere che trasporta il carrello coi fascicoli proprio come il portabagagli sul binario. Ci sono i coniugi che stanno per separarsi, come due che partono per destinazioni opposte, lei con gli occhi rossi di pianto, lui che passeggia in cerchio per stemperare l’ansia e quando le passa davanti lancia uno sguardo in tralice, scuote la testa e prosegue lungo la circonferenza che racchiude il destino della loro storia. C’è l’anziano avvocato che pur in pensione da decenni non riesce a staccarsi del tutto dal lavoro di una vita, come dicono càpiti ai fantasmi, e ci sono i giovani praticanti smarriti che toccano con mano la differenza fra le serie tv americane e la realtà. Gente che va, non sa dove stia andando ma va lo stesso, perché l’importante è sentire che vai, come cantava qualcuno. 

I tribunali sono come stazioni ferroviarie e c’è pure l’avvocato curvo sul telefono che scrive un post su quel che vede, per ingannare l’attesa che venga chiamato il proprio processo se arriverà il giudice, perennemente in ritardo proprio come il treno che dovremmo prendere e forse non prenderemo mai. E magari meglio così, perché come per il viaggio, in fondo l’attesa della sentenza è essa stessa sentenza.