Sulla terrazza della casa al mare, osservo il percorso di una
formica. Pare sappia davvero cosa fare, lei, anche quando vaga in tondo. Cerca
cibo, forse, o amore, chissà. Magari
la traccia di un compagno, un segno di appartenenza.
È qui, a pochi centimetri da me, per un attimo
penso di schiacciarla, sentirmi Dio. Un dio potente con i deboli. Un dio
vigliacco.
Decido di lasciarla andare. Chissà se lei farebbe lo stesso con me, così operosa, vedendomi invece inerte,
incapace di godere di un solo istante della mia vita.
Si avvia lungo la striscia di una mattonella,
un destino segnato, un percorso sicuro. Avevo sei anni quando decisi di non
calpestare più quelle strisce, ero proprio qui ad Ascea. Un
doc, si chiama così, disturbo
ossessivo compulsivo. All’epoca pensavo invece fosse solo un gioco, un modo di decodificare la
vita.
Si è alzato un
po’ di vento, forse non vale la pena andare in
spiaggia. Inizio a scrivere. Se davvero non sapessi godere dei momenti, non ci
terrei così tanto a cristallizzarli in racconti. È che adoro sentirmi dio, creare la mia realtà.
Forse da qualche parte nella vita vera a volte
sono felice anche io, altre volte uno stupido vigliacco. Forse l’ho schiacciata sul serio quella formica, sulla
terrazza della casa al mare.