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domenica 27 maggio 2012

Senz'arte né party

Se sapessi scaricare le foto dal mio telefonino, lo vedreste.
Quel che avrei potuto essere.
Quel che, in fondo, avrei voluto essere.

Il testo di una mia canzone di tanti anni orsono, Questo Paradiso, faceva pressappoco così:

"Potessi abitare in un posto migliore
non farei tante storie, 
non scriverei canzoni, non mi farei illusioni,
forse non mi chiamerei neanche così".

Non sembri irriverente scomodare paragoni illustri.
Anch'io, nel mio loco natìo, per molti versi, mi son sempre sentito romìto e strano.
Ritornatovi quasi adolescente, dopo l'infanzia trascorsa nella capitale (era la fine degli anni '70), mi son ritrovato d'improvviso catapultato in una piccola realtà (quella che, in parte, ho raccontato nel mio romanzo Una pietra sopra) nella quale, pur alla fine inseritomi, mi sono sempre intimamente sentito estraneo, diverso. E tale, ne sono consapevole, mi hanno considerato e continuano a fare molti dei miei concittadini.

Ma, in fondo, le mie passioni non erano diverse da quelle dei miei coetanei di allora.
Solo che - complice la differente cultura (detto in senso rispettoso per entrambi) - le abbiamo sempre declinate in maniera confliggente, se non addirittura opposta.

Amavo lo sport come loro. Solo che a me piaceva il tennis, parecchio anche il golf, a tutti gli altri il calcio. Dunque loro giocavano insieme, ed io seguivo da solo le telecronache di Gianni Clerici o di Mario Camicia.

Ero innamorato anch'io dei motori. Le macchine d'epoca, le straordinarie Lancia che vedevo ancora circolare, ben curate, in certi quartieri di Roma, mentre qui la macchina che più vi si avvicinava era il vecchio torpedone che ci portava a scuola. 
Ai miei amici del paese piacevano le Uno Turbo e le moto da cross, e si sfidavano in interminabili corse contro la morte, che però li facevano sentire vivi

E la musica, un'attrazione ancestrale per tutti. 
Per me, i Supertramp, o i Genesis di Peter Gabriel. 
Per loro Gigione e le tette della campagnola. Vuoi mettere?

La solitudine è stata la mia compagnia.
E spesso, nella compagnia, mi sono sentito e mi sento ancora più solo.

Oggi sono un uomo di quarantatre anni, che passa molte serate a casa, a suonare al pianoforte le proprie canzoni tristi. 
Nella mia Audi, a velocità di crociera, ascolto in questi giorni un CD di Paul Weller.

E proprio ieri, guidando nel traffico i cui rumori mi giungevano ovattati perché filtrati dalla voce blues dell'ex leader degli Style Council, d'improvviso mi sono incontrato.

Ho incontrato Giovanni Laurito diamante grezzo, senza orpelli e sovrastrutture.
Orgoglioso delle sue passioni e deciso a coltivarle in pieno.

Il rombo del motore ha spezzato l'incanto flebile della chitarra jazz di Moon on your pijamas.

Ho visto nello specchietto questo malato mentale che, a bordo di una moto da enduro, sorpassava, impennando, le auto in fila al semaforo. Quando mi ha affiancato, l'urlo della marmitta, sicuramente truccata, ha fatto tremare i vetri austeri della mia auto.

L'ho guardato, avrà avuto la mia età. Non il mio sguardo, ché il suo era fiero e determinato.
Non i miei residui capelli, corti, ingrigiti e timidi, ma una lunga coda di cavallo fresca di tinta e forse non di shampoo.

Mi ha superato di slancio, ancora una volta a pinna sulla ruota posteriore.
Dietro la sua schiena, mi è sembrato a prima vista, uno zaino.
Il traffico lo rallenta, osservo meglio. E' un organetto.
Poi schizza via, non troppo veloce, però, da impedirmi di scattargli una foto ammirata col mio cellulare. Peccato non la sappia scaricare. 
Avreste visto quel Giovanni Laurito, nato qui, ben inserito, che non passa le serate da solo a comporre e cantare al pianoforte sciocche canzoni dai testi complicati e pessimisti.
L'immagine vi avrebbe rimandato quel Glaurito che passa le serate in compagnia, a bere vino e a ballare la tarantella. E che non ha bisogno di sognare un posto migliore, perché ce l'ha già.

sabato 12 maggio 2012

Aspetta e spara

Certo, potevo pensarci prima.
Ma mi scappava un post, e quando senti lo stimolo non puoi farci niente, se non metterti a scrivere.
Che è una vita che aspetto, e spero sempre che non succeda.
Che non fa niente se quel che aspetto sia bello o brutto.
Voglio sempre che non succeda.
Perché come diceva quel tizio che dai migliori salotti di Londra, ammirato ed idolatrato, finì a spaccare pietre nel carcere di Reading, "quest'ansia è insopportabile, speriamo che duri".
Che finita la causa non voglio sapere se ho vinto, perché magari ho perso.
E intanto è bello pensare di aver vinto.
Che le analisi attendano. E attenda pure questo dolore, con cui ho imparato a convivere.
E magari non è niente.
Che Scritture Scriteriate si tengano quei 75 euro e non mi dicano mai che il mio romanzo è una ciofeca.
Io nel frattempo leggo il loro messaggio che è un capolavoro e me lo pubblicheranno presto.
E il test di gravidanza non occorre.
Sto già cullando il mio bambino. E non piange affatto, non come quella vera.
Tutti i miei concerti rimangano deserti,
non è il caso di specchiare la propria autostima nel consenso degli altri.
Che poi apri gli occhi, e prima di capire come sia accaduto che sei solo,
stai già volando dalla torre più alta, 
dietro di te solo un biglietto di inutili scuse.
Avrei da dire mille altre cose, ma dovevo pensarci prima.
Prima di iniziare, dovevo accorgermi che la batteria del pc era quasi esaurita.
Ma chissà se non è stato meglio così, interrompermi sul più bello.
Mica è detto che sarebbe andata come mi attendevo.
Magari facevo cilecca per l'ennesima volta.
Invece il mio orgasmo è, da sempre, parafrasare Beckett.
Aspettando, godo.



domenica 6 maggio 2012

Le smorfie nelle foto

Smòrfia: "atto svenevole, lezioso" (1619, Buonarroti il Giovane); "contrazione del viso, tale da alterarne il normale aspetto" (1598, Florio). Dall'antica forma verbale morfia "bocca", di origine incerta.

Alzi la mano chi non ha mai fatto una smorfia in una foto. 
Il fenomeno, una volta circoscritto agli album di famiglia e ai diari delle liceali, oggi, con l'avvento di internet, e, soprattutto, dei social network, ha assunto dimensioni globali.
Sono pochi i profili internet su facebook che non ospitano l'ormai classica foto con le labbra a cuoricino, o con un dito davanti alla bocca, o con gli occhi sgranati, le mani a palme aperte sulle guance e la bocca spalancata a perpetuare il silenzioso urlo di Munch (per inciso, proprio nei giorni scorsi battuto all'asta per una somma record, quindi ...).
Come per tutti gli argomenti talmente superficiali da diventare sostanziali e universali (proprio perché chiunque può dire la sua, persino io), la rete ospita addirittura dei contest per la smorfia migliore, come pure, di converso,  gruppi di coloro che "odiano" le foto con le smorfie, con ampie discussioni sui forum.
Il fenomeno, a differenza di quanto potrebbe apparire, non è limitato ai cosiddetti "bimbiminkia" o "bimbeminkia" (definiti da fonte autorevole come "una delle piaghe che affliggono l'umanità, e negli ultimi anni è sempre più comune sul web"), ma è assolutamente trasversale rispetto al sesso, all'età ed alle condizioni sociali.
Ciascuno può pescare, fra i propri ricordi familiari, immagini di persone insospettabili (il bisnonno medaglia d'oro della prima guerra mondiale che digrigna i denti, il preside durante la gita di fine anno che finge di scaccolarsi (finge?), la bidella che soffia un bacio all'applicato di segreteria gay) colte in quell'atteggiamento.
Ed è nell'iconografia globale la famosa smorfia di Einstein, non meno nota della linguaccia del calciatore Del Piero che così festeggia i propri gol.
Quali sono le ragioni? Tanto negli animali come presso l'uomo le situazioni di fame, sete, appetito sessuale, gioia, dolore, si esprimono con delle reazioni esterne, le sole attraverso le quali una vita sociale si rende possibile. Nei rapporti fra individui, l'atteggiamento conoscitivo dell'uno è agevolato dall'espressione dell'altro, espressione che si estrinseca soprattutto con la mimica. comunemente intesa come quella del volto e del gesto.
Poiché il linguaggio è nato dalla mimica (ed anche la scrittura, basti pensare alla "O"), l'espressione vocalica è stata da prima accompagnata dal gesto, ed è quella la situazione pre-verbale delle immagini fotografiche, dove il messaggio è esclusivamente gestuale (salvo tenere in mano un cartello con una frase, tipo ostaggio sequestrato o mendicante straniero , ma non divaghiamo):
Anche fra gli animali è possibile riscontrare qualcosa di simile, con una preponderanza naturale del grido sul gesto, specialmente di notte, quando cioè il gesto, non visibile, diventa inefficace. Questo postulato fa scaturire en passant delle riflessioni darwiniane sul grado evolutivo dei giovinastri urlanti che stazionano in ore notturne sotto le mie finestre.
In psicologia si tende a distinguere le smorfie in due macrocategorie. Quelle che riflettono un atteggiamento distorto del superego (es. Berlusconi che fa le corna), e quelle che tendono a mascherare un'intima convinzione di inadeguatezza. Quest'ultima non è necessariamente di carattere estetico (mi vergogno dei miei capelli crespi o scombinati e faccio una smorfia simulando che tutto l'insieme sia volutamente deformato), ma anche legata al contesto (mi sento fuori posto in quella festa di ragazzine e facendo una smorfia derubrico la mia presenza come involontaria o inevitabile e, dunque, non censurabile)...