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lunedì 17 dicembre 2012

Sogno di una notte di mezza età

I
La fine dell'anno è tempo di riflessioni.
In questo fine settimana, infatti, piuttosto che uscire, non ho fatto altro che riflettere (come diceva Oscar Wilde, quando mi viene voglia di fare attività fisica mi stendo sul divano e aspetto che passi).
E son giunto alla conclusione che alcune rigidità che mi ero imposto potrebbero anche essere derogate, in un prossimo futuro.
Una sorta di emendamenti alla Costituzione americana, introdotti melius re perpensa.
Mi riferisco al mio antico proposito di non esibirmi più in pubblico quale musicista, una volta varcata la soglia dei quarant'anni.
Più precisamente, il mio autodiktat prevedeva che dopo i trent'anni non suonassi più in concerti all'aperto, e dopo i quaranta neppure nei locali.
Finora l'ho rispettato, risalendo la mia ultima esilarante esibizione live (ve n'era traccia persino su youtube) al 2009. Nè mi era venuta particolare voglia di rifarlo, per la verità.
Solo che qualche tempo fa mi era balenata un'idea particolare che coniugava la musica con la mia passione per il dialetto, ed avevo iniziato a scrivere dei pezzi in lingua cilentana.
Non è un progetto folk, tutt'altro. Si tratta di rifare in dialetto brani famosi della musica rock. Non una mera traduzione, ma una nuova canzone che conservi, per quanto è possibile, lo spirito del brano originale, ma inserito in un contesto locale.
Così, ad esempio, Born in the Usa è diventato "Nato a lu Ciliendo", e non parla della guerra nel Vietnam, ma dell'emigrazione dal Sud Italia negli anni '70.
Sto reclutando alcuni amici musicisti. Pensiamo ad una versione acustica nei locali per la prossima primavera, poi si vedrà, non mi attendo la vostra partecipazione. Sono consapevole che si tratta di un piccolo progetto, locale, non attirerà folle oceaniche, io non sono Madonna.
Anche se, per la verità, chi più di Madonna è una cantante di nicchia?
 
N.B. tutto il post non aveva altro scopo che fare la battuta su Madonna e la nicchia.
 
II
Nel fine settimana sono successe molte cose di rilievo.
Alcune anche piuttosto gravi.
E' capitato che sono stato taggato.
E non sapevo come reagire, non mi era mai successo.
Stavo per chiamare l'assicurazione, poi mi hanno detto che bastava un po' di riposo (e in questo sono maestro), è rimasto solo una leggera vertigine, e quella foto coattivamente posata, che, come un livido, piano piano sparirà dal web, lasciando sopravvivere solo le ben più genuine foto in background, inconsapevoli, delle quali parlai tempo fa, e che sono il vero specchio del sè.
 
III
Che poi sto a lamentarmi, ma io in fondo faccio proprio quello che mi piace fare.
Tornando al dialetto, "non vòto 'no spruoccolo" (non muovo una paglia).
Me ne sto semplicemente qui, disteso, a leggere, a pensare (leggasi dormire), a guardare le partite di Champions.
Poi capita che in questo fine settimana, senza spostarmi dal divano, il ditino trovi un film carino di Aldo, Giovanni e Giacomo, "Tu la conosci Claudia?", che invece di risolvermi la serata in tranquillità, mi lancia un agguato. C'è questa moglie, Paola Cortellesi, che attacca una lagna col marito, Giovanni!, perché appunto, sta solo lì sul divano a leggere, a pensare, a guardare le partite di Champions e non vuole mai uscire. E lei lo molla, poi mille impicci, fino al lieto fine.
Solo che io non voglio impicci, e il lieto fine non può esserci (v. terrazza del post precedente).
Allora vorrà dire che devo cambiare. Stasera si va a mangiare la pizza. Ma dove?
Ho preso l'elenco, ma guarda un po', tutte le pizzerie che frequentavo hanno chiuso da tempo.
Non c'è più la "Vecchia casa", dove andavamo spesso?
E che diamine, saranno passati solo una quindicina d'anni!
Allora gira e rigira, rimane il solito takeaway.
Davanti alla mia porta, accanto alla stella cometa, scriverò Pizzeria "da Giovanni".
E pure questa è risolta, e poi di nuovo, a pancia piena, a pensare sul divano.
E il titolo sarà sempre lo stesso. Sogno di una notte di mezza età.

giovedì 6 dicembre 2012

Il volo

Poter volare.
Un bambino preferirebbe sempre poter volare.
A qualsiasi altra possibilità, ad utopie ancor più irraggiungibili.
Uno dei tre desideri da consegnare al genio della lampada è sempre poter volare.
Poi si cresce.
E non solo non si vola mai.
Ma non si pensa nemmeno più di volerlo fare.
Non ricordo neppure quando ho dimenticato l'isola-che-non-c'è.
Nè perchè ho fatto quel nodo al fazzoletto.
Non solo per rompermi il naso quando ho il raffreddore, spero.
La madeleine stavolta è stata una canzone di Finardi.
"Oggi ho imparato a volare", appunto.
Così ho sfregato di nuovo la mia lampada personale.
Tutte risposte con la esse. Le solite. Salutesessosoldi.
Ma le ali, no, non ci ho pensato.
Mai leali con i nostri sogni.
Intanto il cd arrivava ad extraterrestre.
Quello che voleva un pianeta su cui ricominciare.
E poi voleva tornare a casa per ricominciare.
Che una ragione la trovi sempre e solo dentro di te.
Per andare avanti.
Che sia dovere, rassegnazione, o sciocca speranza nel tuo Cristo personale.
Volare, una volta che hai imparato, dovrebbe essere una cosa che non si dimentica.
Come nuotare. O come affondare.
Che una volta sotto, si scende che è un piacere.
Magari ad un certo punto ti torna in mente come si fa.
Come da bambino su quella terrazza del condominio, dove mamma stendeva i panni.
Era il 1976. Roma ai miei piedi.
Stendevo una manina e potevo toccare il Cupolone.
Chiudevo gli occhi e volavo sui sette colli, sul Gianicolo, insieme ai cigni sui laghi di Villa Pamphili.
Poi mi cadeva lo sguardo sulle mattonelle sbreccate, a quei piccoli insetti puntini rossi che li schiacci e rimane la scia color carminio, e pensavo che quello restava della nostra vita, se andava bene.
Ora ripenso a quella terrazza.
Il volo è quello di Lucentini, di Primo Levi, di Monicelli.