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mercoledì 29 gennaio 2014

Il meglio forse c'è già stato

In questi giorni ascolto, con una certa delusione, Mondovisione, il nuovo album di Ligabue.
Non perché questi nuovi pezzi non siano belli. Sono oggettivamente perfetti.
Sarà che questi vent'anni sono passati per entrambi.
E quel che eravamo non lo siamo e non potremo più esserlo.
Come raccontavo in questo post di tre anni e mezzo fa, illudendomi per una notte.


Martedì, 03 Agosto 2010


"è con questa canzone che faremo adesso, 
che tutto è cominciato, vent'anni fà"

Ligabue pronuncia queste parole e attacca il riff di chitarra di
Balliamo sul mondo.

E c'eravamo anche noi, vent'anni fa, a ballare sul mondo. Io e il mio amico Walter, nella nostra 126 bianca, sul lungomare di Ascea, con lo stereo a palla, a fingere di ripetere procedura civile - l'esame fra qualche settimana - ma in realtà a memorizzare quegli straordinari pezzi.

Leggere la track list del primo album di Ligabue giustifica la convinzione che il primo album, come il primo romanzo (e il primo amore?) è sempre il migliore. Perché in quello fai la summa di tutte le esperienze passate, hai avuto tutta la vita fino ad allora. Mentre il secondo (album, romanzo, amore) godrà soltanto del lasso di tempo trascorso dal primo. Un tempo infinitamente minore. Un tempo di seconda mano.

Non è tempo per noi, Piccola stella senza cielo, Bar Mario, Bambolina e barracuda, Balliamo sul mondo.

Tutte in quell'album. A tacere di
 Sogni di rock & roll, proprio quello che vivevamo in quell'estate del '90, appena ventenni, con tutta la vita davanti, a spingerci forte verso il futuro, verso il domani.
E la sera quei pezzi ci accompagnavano nelle feste, nei falò,  nelle serenate, nei baci, nelle corse a perdifiato, insomma in tutto quello che poteva venire fuori mescolando chitarre, canzoni, emozioni e la voglia di vivere dei vent'anni.

E il primo concerto di Ligabue, a Napoli. nel 93, e quello di Palinuro, davanti a non più di cinquanta persone, la maggior parte delle quali eravamo noi e i nostri amici.
Sono ancora orgoglioso di esserci stato in quel concerto, di quella tournè in cui il Liga ha scritto, poi, che aveva pensato di dover smettere, perché non se lo cagava nessuno. Noi sì, Luciano. Sicuro.

E infatti, vent'anni dopo siamo ancora qui a sentirti. Salerno, stadio Arechi. Ci vedi in mezzo a quelle trentamila persone?

Siamo quelli lì, nella tribuna numerata e coperta, troppo vecchi per il prato, e per rischiare l'acquazzone previsto dal Meteo. E infatti, quando alle 23 esatte attacca a piovere, noi siamo lì, tranquilli. Poi smette e lasciamo il nostro comodo rifugio, con nelle orecchie e nel cuore sempre quei vecchi sogni di rock & roll.

Certo, poi si metterà a piovere a dirotto nel tragitto fra lo stadio e il parcheggio. Tanto da dover tornare a casa guidando in mutande, comunque cantando. Ma questa è un altra storia. E un altro modo di sentirsi leggeri.

Come può succedere solo certe notti ...

sabato 25 gennaio 2014

Belli per un giorno

Con una buona musica country nelle cuffie la vita ti sembra migliore.
C'è l'ottimismo innato dell'America delle infinite occasioni, dei muscoli lucidi, dei grandi spazi, delle interminabili interstate che attraversano il nulla, dei confini che non sono mai un limite ma un obiettivo da raggiungere e possibilmente superare.
E poi ci sono le canzoni dei rimpianti, della malinconia, da cantare di notte a bassa voce accanto ad un fuoco, accompagnati dall'armonica e dal profumo di cuoio, le canzoni che parlano di polvere sugli stivali e sul cuore, di cenere e brace, di ricordi spezzati e di nomi che non si dimenticano.
Ascoltavo un pezzo di Faith Hill e immaginavo come sarebbe stata la mia vita se le nostre strade non fossero così strette e tortuose, se il coraggio non avesse sempre ceduto alla sciocca prudenza, se avessi anch'io acquistato almeno una volta il biglietto per il treno delle occasioni.
La canzone si interruppe per una pubblicità, e io continuavo a fantasticare, quando mi ridestò lo slogan "Belli per un giorno". proponevano un programma di straordinario miglioramento estetico, una sorta di photoshop direttamente applicabile sul proprio viso, frutto di una ricerca sperimentale che garantiva per almeno ventiquattr'ore l'eliminazione dei difetti, delle imperfezioni.
Molte occasioni - lo dico per chi mi capisce - spesso le abbiamo perse perché non ci sentivamo, a ragione o a torto, belli abbastanza. Belli abbastanza per presentarsi a quel colloquio di lavoro con concrete speranze, belli abbastanza per quella ragazza così desiderata, quella collega che invece non abbiamo mai avuto il coraggio di avvicinare, timorosi non solo di un rifiuto, ma di una risata sprezzante, "ma come ti permetti, non ce l'hai uno specchio?".
Così, sarà stata quella canzone, magari il profumo della primavera in arrivo, mi appuntai il numero e più tardi chiamai. Dopo una serie di filtri, riuscii a parlare con una responsabile, che mi spiegò il funzionamento, una specie di incrocio fra botulino, acido ialuronico, non so quale altra diavoleria chimica ma in una concentrazione assai elevata che si poteva riuscire, incredibile a dirsi, a modellare il viso, addirittura eliminando difetti evidenti come orecchie da elefante, nasi adunchi, labbra sporgenti e menti sfuggenti. Due erano le controindicazioni, la prima era la durata, assai limitata nel tempo, appena un giorno, e che, per la possibile tossicità, non consentiva di ripetere il trattamento. E la seconda il costo, assai elevato. Ma ne sarebbe valsa la pena, mi convinse la mia interlocutrice, perché sarei stato davvero irresistibile e se mi organizzavo bene avrei potuto raggiungere, in quel giorno, obiettivi impensabili. Ad esempio avrei potuto avere qualsiasi donna ai miei piedi, intessere relazioni professionali vantaggiosissime col mio seppure temporaneo fascino irresistibile e sarebbe stato poi compito mio dimostrare che oltre alla bellezza, svanita all'alba, rimanevano le mie doti umane, che, però, causa il mio aspetto non troppo gradevole, di solito nessuno voleva approfondire. Mi feci un po' di conti in tasca, tentennai solo per darmi un tono (per non sembrare che se accettavo immediatamente voleva dire che ero davvero orribile), ma in realtà io avevo deciso già nel momento stesso in cui mi appuntavo il numero da chiamare.
I giorni seguenti furono frenetici, fissai il trattamento per il giorno in cui ero riuscito a sapere che la mia collega che mi faceva impazzire sarebbe stata sola in ufficio. In altre circostanze non avrei avuto minimamente il coraggio per provarci, ma quel giorno, invece ...
Inoltre fortuna volle che in quella stessa serata ci sarebbe stato un colloquio in cui scegliere il titolare della filiale dello Studio che doveva aprirsi a Salerno, e come al solito in vantaggio c'era il collega spigliato e piacione. Ma io avrei avuto ben altre carte da giocare.
Così arrivò il momento fatidico, l'appuntamento per il trattamento era alle cinque di mattina così avrei potuto avere l'intera giornata da sfruttare. Il tempo bestiale non mi spaventò. Non mi fermò neppure la rottura del cambio dell'auto, che mi costrinse a piedi per oltre mezz'ora sotto l'acquazzone, ma nella nebbia, come su uno schermo cinematografico, proiettavo il viso di lei, di noi due abbracciati, e superai di slancio le avversità.
Alle sette ero pronto. Mi portarono uno specchio e stentai a credere ai miei occhi. 
Mi innamorai io stesso, la verità.  
La titolare si fece consegnare la carta di credito, mai salasso fu accettato più volentieri.
Me la riconsegnò guardandomi, mi parve, con un profondo desiderio. Ma seppure assai carina, non era lei che dovevo conquistare. Tossii un paio di volte per riprendere contegno, la salutai ed uscii.
Fuori pioveva ancora abbastanza, presi un taxi e arrivai a casa che erano le otto. Caspita che freddo! Accesi il riscaldamento ma continuavo a tremare, mi sentivo di colpo febbricitante.
Si avvicinava l'ora in cui sarei dovuto uscire per andare in ufficio a sfruttare la mia nuova avvenenza. Ma non mi sentivo affatto bene. Diciamo pure che stavo uno schifo. Telefonai al centro, esposi il problema, e quella mi disse che effettivamente, in qualche raro caso, e magari se si era un po' raffreddati, c'era stato questo tipo di effetto collaterale al trattamento e purtroppo non era immediatamente reversibile, insomma che per almeno 24 ore avrei avuto la febbre alta e non sarei stato bene. Però, mi disse, credendo di avermi rassicurato, che per quei casi, visto che il prodotto era sperimentale, ci sarebbe stato il rimborso integrale di quanto avevo pagato.
Riattaccai, sconfortato. Che potevo fare? Chiamarla e invitarla a casa mia? E con quale scusa? Non c'ero mai riuscito in due anni, figuriamoci se ne avevo il coraggio ora, in quelle condizioni. Idem per la serata, il titolare dello studio sarebbe stato il bel gagà, com'era forse giusto. E magari per festeggiare si sarebbe pure scopato lui la mia amata collega.
Auguri e figli maschi. 
Mi feci forza, in fondo in fondo la giornata non sarebbe stata peggiore di tante altre.
Presi un buon libro, mi infilai il pigiama, calai le serrande e mi avviai a letto.
Passai davanti allo specchio. Ero davvero incantevole. Anche se ai miei piedi non avevo tutte le ragazze del mondo, ma solo un paio di vecchie ciabatte.
Volevo scattarmi una foto, ma tanto, mi dissi, nessuno avrebbe creduto che ero davvero io.
Lessi appena poche pagine e crollai in un sonno profondo.
Quando mi svegliai era il mattino dopo. Mi sentivo molto meglio.
Mi alzai e temevo di passare di nuovo davanti allo specchio. 
Dottor Jekyll o Mr. Hide? Avrei visto Gregor Samsa o lo scarafaggio?
Invece la metamorfosi fu indolore, anzi il mio naso mi sembrò quasi gradevole.
Mi era ... come dire, mancato!

Le ventiquattr'ore, in realtà, erano durate il tempo di una canzone, il tempo di scrivere questo racconto. E ora nella cuffia ce n'è un'altra, ancora più bella, di Darius Rucker. Parla di amicizia, di nuvole che vanno e vengono, di mani che si stringono e cuori che si capiscono nell'intimo e se ne fregano dei soldi, dell'aspetto, delle macchine veloci, delle parole di circostanza.
Vale la pena fermarsi ad ascoltare.
Magari fino alla prossima illusione, da esorcizzare con un nuovo racconto.

domenica 19 gennaio 2014

Vangeli apocrifi

Un giorno, dopo la resurrezione, il Signore apparve ai discepoli che si trovavano in una selva sulle sponde del lago di Tiberiade per cercare funghi. Giunta l'ora di pranzo, si trovarono privi di provviste tranne una focaccia farcita di sardine che Pietro si guardò bene dal tirare fuori dallo zaino, preoccupato del solito "miracolo" della divisione dei pani e dei pesci.
Allora il Signore apparve loro ed invitò a preparare un fuoco, sul quale avrebbero arrostito parte dei funghi raccolti, in modo da sfamarsi e poter riprendere insieme a lui il cammino nel bosco, verso la redenzione definitiva.
Quando il cibo fu pronto, e fu il momento di iniziare a mangiare, e molti di loro erano scettici circa la loro commestibilità, il Signore dapprima disse loro di non avere paura, ma visto che Tommaso, dopo la resurrezione, era diventato il solito dubbioso, gli chiese di essere il primo a constatare con mano la loro bontà.
Tommaso fu felice che venisse confermato il suo proverbiale scetticismo, e addentò con vigore un bel fungo di colore rosso, venendo immediatamente colto da crampi allo stomaco.
A quel punto gli altri apostoli guardarono il Signore, sorpresi, atteso che egli li aveva rassicurati.
Ma il Signore precisò loro che aveva detto testualmente che non dovevano avere paura, non certo che i funghi erano buoni, e li invitò per il futuro a porre maggiore attenzione al suo Verbo.
Nel frattempo Tommaso si contorceva in preda al dolore, per cui Giacomo detto Zebedeo suggerì al Signore di attuare nuovamente il miracolo della resurrezione, come con Lazzaro.
Al che, però, Tommaso, pur sofferente, ebbe modo di precisare al collega che non era affatto morto, e sferrò un calcione negli Zebedei di Giacomo, evidentemente non nuovo a tali uscite tanto da essersi meritato quel soprannome.
Tutti erano stati distratti da quella diatriba e, quando si voltarono di nuovo verso il Signore, videro soltanto un posto vuoto e, dovunque essi guardassero, non c'era traccia di lui, così pensarono che era quello il significato dell'invito a mangiare quei funghi e a non avere paura, evidentemente in quel modo essi sarebbero stati subito seduti con lui alla destra di Dio.
Presero tutti, dunque, Pietro per primo (per non essere detto che lo rinnegava per la quarta volta) a mangiare i funghi. Nel frattempo, da dietro un cedro, il Signore li spiava mentre stava per finire la focaccia di Pietro, e sorrideva soddisfatto per l'ennesimo insegnamento che lasciava loro in eredità. 

martedì 14 gennaio 2014

Un filo di vento

(Smoke on the water)
Fum(m)o sul mare. A Ravello.
Di fronte un imperfetto orizzonte
declinavo in più forme il silenzio,
fra un gelato alla carta
(senza dubbio di cuori)
e la tua veste leggera
intessuta di fiori
solamente per rima.
Avremmo fatto certo prima
a parlare. Degli altri,
che di noi è da sempre un'impresa.
Uno sguardo d'intesa
e sorrido contento.
Dal mare una brezza,
per legarci,
un filo divento.

mercoledì 1 gennaio 2014

Le canzoni, gli anni e la donna ideale

Il grosso errore è vedere se ci si era azzeccato.
L'oroscopo del giorno precedente, il meteo di oggi, che ti affacci e fai prima.
Devi crederci, e basta, perché ti regalano una speranza.
Come i buoni propositi per l'anno nuovo.
Io ho un blog da una trentina d'anni. Prima era di carta, si chiamava diario.
Poi, da sei o sette anni, è digitale, ma il succo è lo stesso, a fine d'anno è sempre stata l'occasione buona per il bilancio di rendiconto e per quello preventivo.
Mi è capitato per sbaglio di rileggere qualche impegno di dieci anni fa, e non è stato consolante scoprire che la gran parte erano quelli che avrei voluto prendere anche questa volta.
Organizzare meglio il mio tempo, la palestra (see, la palestra!!), almeno mezz'ora di corsa ogni giorno (eterno inattuato fioretto di noi sedentari prossimi all'infarto), risparmiare un po' di più, credere in me stesso, passare più tempo con mia figlia, smettere di pensare alla morte, uscire di più, parlare, vedere gente, smettere di odiare Tizio, smettere di amare Caia, e tante altre intenzioni puntualmente più o meno frustrate già dalla seconda settimana di gennaio, provare a imparare il tango, che nella vita serve sempre ... no, questa era solo una canzone...
Le canzoni. Magari quest'anno volo ancora più alto.
Fare qualcosa che non ho mai fatto. Volare, appunto, cioè prendere un aereo.
O prendere fiato e volare ancora con la fantasia, quel che una volta mi riusciva meglio, come l'albatro di Baudelaire. Che sfida i venti con eleganza e maestria. Solo che poi, come quel gigante dell'aria, sono atterrato sulla tolda della nave e ancheggio come un nano zoppo. 
Farò qualcosa che nessuno ha mai fatto.
Scriverò la canzone più bella di tutti i tempi.
Devo sbrigarmi, ma ce la posso fare, perché rispetto alle più grandi rockstar ho un certo vantaggio.
Ieri sera ho festeggiato mezzanotte alle 20.40, e poi sono andato a letto, mentre quelli sicuro si sono sfondati di birra e chissà cos'altro, hanno ballato e suonato fino all'alba, e ora dormono della grossa, e chissà quando si sveglieranno. Ora mi ci metto. Ma inizio già ad avere sonno, ed ho bisogno di un po' di coccole. E quelle può darmele solo lei, la donna che amo.
L'ho conosciuta da pochi giorni, parlare di amore per qualcuno sembrerebbe un azzardo, ma quest'anno sono quarantacinque, c'è poco da attendere, adesco o mai più.
Mi stendo sul divano, con una morbida coperta, e la faccio accomodare vicino a me.
Ho le mani gelate, glielo dico, spero che me le tenga fra le sue.
"Ho freddo", le sussurro.
"Ma fuori ci sono 15 gradi celsius, non credo faccia freddo, Giovanni!"
Come darle torto, anche se il mio era più un freddo del cuore. 
Provo a rimediare.
"Ho caldo, allora".
"Ma fuori ci sono 15 gradi celsius, non credo faccia caldo, Giovanni!"
Grazie, ma un amore tiepido non è quel che cerco ...
"Sono qui per rendermi utile, Giovanni".
"Dammi un po' di tepore", le bisbiglio.
"Non capisco".
"Voglio calore"
E sul display mi appare una lista dei rivenditori di caldaie a pellet più vicini a me.
Buon anno, Siri.
E' giusto, oggi è il primo dell'anno, mi risponde la voce computerizzata dell'Iphone.
E io mi metto a dormire, proprio mentre Keith Richards finalmente si sveglia (si era coricato il 31 dicembre 2010), imbraccia la fender, e scrive l'ennesimo capolavoro.