Alle elementari avevo un compagno,
Daniele, capace di una grafia davvero aggraziata. Dava alle lettere una particolare
ondulazione molto elegante, ricordo certe elle in corsivo che sembravano vele
al vento. Come le lenzuola nella Notte dei miracoli di Lucio Dalla.
Ci provavo, a imitare il suo modo di
scrivere, ma riuscivo solo in parte a ricordare quello stile che era evidentemente
innato. Come tutte le grafie, ciascuna peculiare e perciò mai esattamente
riproducibile.
Un giorno, però, lui si era alzato dal
banco e aveva lasciato lì la penna. La ricordo ancora. Una grinta blu col
cappuccio bianco. La presi e iniziai a scrivere con quella. Lasciava un tratto di
un azzurro insieme profondo e tenue. Le lettere cominciarono a fluire dall'oggetto al foglio esattamente identiche a quelle di Daniele. Che magia!
Questo piccolo episodio dimenticato in
chissà quale meandro della memoria mi è ritornato in mente ieri sera, mentre
guardavo l’episodio di una serie in cui il protagonista, un truffatore, per imitare
al meglio la firma di un amico gli aveva rubato la stilografica.
Chissà se davvero gli oggetti conservano
una traccia dell’anima di chi li ha usati a lungo? Del resto è il fondamento
della psicometria, la pseudoscienza in base alla quale, a cavallo fra l’ottocento
e il novecento, sedicenti veggenti sostenevano di poter rintracciare persone
smarrite o uccise toccando oggetti che erano stati utilizzati da loro.
Non so rispondere. La ragione mi dice che
non può essere. Il mio ricordo delle elementari non è altro che una
suggestione. Eppure sfogliando libri presi in prestito da amici che li hanno
amati ho avuto l’impressione di leggerli coi loro occhi, di provare anche le
loro emozioni. Suonando la chitarra di un maestro gli accordi erano più cristallini.
Indossando una giacca di mio padre quand’era giovane mi sono sentito più bello.
Sarà che mi affeziono agli oggetti, e per
questo motivo tendo ad attribuire loro un’anima. Ché mica ci si può davvero legare
a qualcosa d’inerte, privo di vita. O magari sono loro ad averla e a
trasmettercela, se siamo disposti a riceverla. Oggi, per esempio, non so come
mi è venuto di scrivere un post, non lo facevo da tanto. Forse è stata la
tastiera del computer a volerlo fare, servendosi delle mie dita.
O più semplicemente, non avevo nessuna voglia di lavorare.
E allora ogni scusa è buona.