[...] Il regalo era un libro.
Lei lo sfogliò, si aspettava una dedica che non c’era, glielo disse.
“Non volevo scriverci sopra, so che ci tieni ad avere volumi immacolati!”, si giustificò lui.
“Facciamo così, allora, usa la matita, che nel caso cancello”, sorrise lei ironica, porgendogli il libro e un lapis.
Ci pensò sopra un attimo, iniziò a scrivere incerto, poi più deciso. Le restituì il libro, sulla terza pagina erano vergate quattro righe.
Il pensiero a matita
vide cadere una stella
nel cielo blu inchiostro
e desideró essere incancellabile.
Lo lesse, e un lieve rossore le carezzò le guance.
“A questo punto, se fosse un film, una sceneggiatura perfetta prevederebbe un bacio”, scherzò lui, magari non troppo, e aggiunse: “anzi, una sceneggiatura perfetta prevederebbe che lui le dicesse che se fosse un film, una sceneggiatura perfetta prevederebbe un bacio!”
Lei rispose che non era così. Che le storie migliori non sono prevedibili.
“La sceneggiatura è ancora da migliorare, riscrivi il finale”, gli disse.
Lui, senza replicare, la baciò.
“A me va bene così, ma l’ho scritto a matita, cancellalo tu, se vuoi”.
(Nella foto, installazione dalla mostra Bulgari a Roma, Castel Sant’Angelo)
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sabato 28 settembre 2019
sabato 14 settembre 2019
Il sette e mezzo
Il
tavolino rotondo davanti al bar è troppo piccolo per quanti siamo a giocare,
quella domenica mattina di luglio in piazza.
Pietro
distribuisce le carte con gesti rapidi, a volte s’incollano sulla fòrmica
arancione, bagnata dai bicchieri di fanta e coca cola.
Giochiamo
a soldi o a caramelle?, chiede uno, e riceve uno scozzettone dal vicino. Abbiamo
quattordici anni, si gioca a soldi, pivello.
Il
primo a destra vede la carta e dice tiro cinquanta. Butta le cinquanta lire sul
tavolo. Pietro gli dà la carta, scoperta. Un sette. Lui infastidito gira la
sua, era un asso. Ha superato sette e mezzo e ha sballato. Pietro intasca la
moneta.
Continua
con il secondo, mentre da sotto l’arco passa una ragazza che va in chiesa.
E’
quella che mi piace. Quella che ogni volta vorrei fermare, e non ho mai il
coraggio. Ha un vestitino a fiori, così mi pare. O forse solo perché quando la
vedo mi sento un po’ poeta, e fiori fa rima con cuori.
Walter
butta un fischio. Lei arrossisce, accelera il passo.
Mi
passa davanti. Forse mi guarda, forse semplicemente m’illudo che sia così. Intanto
m’incanto ad osservare le sue gambe affusolate, veloci.
Che
fai, domanda Pietro.
E
che ne so, penso, mi alzo e la seguo?
Lei
sale i gradini della chiesa agile come se stesse ballando una rumba.
Mi
sembra di sentirne persino il ritmo, ma dev’essere solo il mio cuore.
Troppa
coca cola.
Che
fai, domanda Pietro a voce più alta.
Parla
delle carte.
Tiri
un’altra carta o stai bene?
Ho
un quattro. La peggiore.
Quella
che se stai, facile che ti superino.
E
se tiri, nove su dieci superi sette e mezzo e sballi.
In
una goccia di Fanta una mosca si strofina felice le zampine anteriori.
Decido
di stare.
Lui
gira la sua, ha un cinque. Si prende le mie cinquanta lire.
Passano
altre ragazze, Walter prende in giro tutte, e loro arrossiscono.
Lui
ci sa fare.
Le
carte continuano a girare, il sole arriva allo zenit, le ombre svaniscono.
Tocca
di nuovo a me.
La
messa è finita, la gente sciama verso le proprie case.
Anche
quella ragazza.
Ha
una borsa di tela bianca. Mentre scende di nuovo agile le scale, le rimbalza
sui fianchi come una pallina magica. Mi sembra di sentirla da qui.
O
forse è di nuovo il mio cuore, che rimbalza nel petto.
Troppe
coppe del nonno.
Che
fai, domanda Pietro.
La
fermo, stavolta la fermo e ci parlo.
Si
è alzato un filo di vento, e mentre lei avanza il suo profumo la precede.
Sa
un po’ di pesca. O forse d’albicocca.
Sa
d’estate.
Che
fai, domanda Pietro a voce più alta.
Guardo
la mia carta.
Ancora
una volta un quattro.
Lui
mi dice di sbrigarmi a decidere cosa fare.
Che
ne so, gli rispondo, dovrei poter vedere il futuro.
…
Lei
è seduta accanto a me, sul balcone, con un vestitino a fiori.
Forse
non sono fiori.
Forse
mi sembra così solo perché il vento mi porta il suo profumo.
E
fiori fa rima con cuori.
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