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martedì 27 novembre 2012

il mondo fluttuante

Che poi io il dono della sintesi non l'ho mai avuto.
Una battuta buona ogni tanto, ma mai quelle frasi proprio precise, quegli aforismi che li leggi e ti colpiscono così tanto che pensi questa cosa avrei voluto proprio dirla io, e allora ti sforzi a memorizzarla per poi poterla citare nel momento giusto fingendo che sia tua, ma siccome sei uno sciocco smemorato non ti viene mai in mente proprio bene, e invece lo sai che gli aforismi o li dici come vanno detti o non vale.
Così al liceo, fra le tante sfide, c'era quella dei diari.
Di chi ce l'aveva meglio illustrato, più lungo (no, ho confuso le sfide!), con le frasi più belle.
E io ci provavo, ma non mi veniva mai in mente nulla di interessante.
Talvolta rimediavo con i testi delle canzoni, ma l'adolescena è un'epoca passionale, intensa, non acchiappavo mica con versi come "gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming"! A me piaceva Battiato, mica Baglioni.
Epperò, quelle con la maglietta fina che si vedeva tutto con me non ci venivano. A ragione.
Perché devi sapere dire le cose giuste, sentite.
Non copia e incolla.
Non haiku, non versi che scimmiottano Matsuo Basho, quando il mondo fluttuante della tua gioventù è stato, al massimo, il subbuglio di stomaco nei tornanti quando guidava Angelo.
Rileggendo un mio diario del liceo, non trovo frasi memorabili.
Non cuori e baci di fanciulle, come su quelli di Roberto.
Non simpatiche battute alle quali si scompisciavano tutte, prerogativa di Carmine.
Non profonde riflessioni, da uomo maturo e perciò irresistibile, come Claudio.
Niente di tutto questo. Neppure il classico "i giorni passano, il tempo vola, e noi cretini andiamo a scuola".
Non c'era neppure il mio nome, semplicemente la scritta "questo diario è un quadrifoglio, se lo perdo lo rivoglio, se non sai di chi è, vai a pag. 33".
Però, poi, un sussulto di dignità.
Nel bordino di pag. 33, non c'era scritto, come d'uso, Giovanni.
Ci avevo scritto sòreta.



sabato 24 novembre 2012

Copia e incolla

Le stesse parole.
Per ogni dolore, per ogni nuovo amore.
Copia e incolla.


mercoledì 21 novembre 2012

A zigo zago ...

E' solo colpa della memoria.
Perchè di cose da scrivere me ne erano venute in mente molte, soprattutto di notte.
E hai voglia a ripeterti "domattina non ti dimenticare!", perché, puntualmente, puff! svanite.

C'era la storia di un grande prestigiatore, bravissimo, ma sempre triste, lì lì per piangere.
La storia del Magone.

C'era quell'episodio dell'avvocato di vaglia, che difendeva le Poste.

C'era quel racconto sul cliente della banca che faceva la corte ad una cassiera molto carina, e dopo averla invitata a cena, non si spingeva oltre, per non tradire la moglie, ma poi scopriva che quella se la faceva con un altro cassiere. Ma chissà come finiva?

C'era pure una favola, parlava di un pettirosso di città che a causa dei rumori del traffico non riusciva a far sentire il suo canto d'amore alla bella pettirossina che viveva nel parco dall'altra parte della strada.

C'era un bel titolo per un nuovo romanzo, ancora non scritto.

C'era il finale di quella sceneggiatura.

Insomma, come cantava Elio, mi ricordo di un ricordo ma non ricordo cosa.

sabato 10 novembre 2012

L'ultima cena

Uno passa la vita a temere la morte, a provare in tutti i modi ad esorcizzarla, invano.
Poi, a quarantatré anni suonati, per caso, la soluzione.
Per far sì che la vita abbia perso ogni interesse, in modo che l'arrivo della morte ti sia indifferente, anzi, addirittura agognato, occorre partecipare, come ho fatto io ieri sera, ad una cena.

Appuntamento al ristorante alle 21. Un ristorante molto fuori mano.
Da una ventina di persone che dovevano partecipare siamo in sette.
Non conosco gli altri sei.
Altri due devono arrivare, ma fanno "un po' tardi".
Ordiniamo alle 22.45 (ora in cui io di prassi, dopo avere già ampiamente cenato e digerito, sono a letto felice a leggere due righe di un romanzo qualsiasi prima di crollare).
Alle 23.10, dopo avere fintamente ascoltato chiacchiere delle quali non m'importava un fico secco, dopo essermi morto di freddo (forse perché la mia temperatura basale è 35.6?), vinto dal sonno e dall'abulìa, dopo avere già fatto incetta di qualsiasi cosa fosse caduta sotto il tavolo vuoto - briciole, tozzi di pane raffermo, ghiande - per placare la fame, avere invano invocato un incendio, un terremoto, l'Apocalisse, ho fatto finto di ricevere una telefonata (ma tanto non mi cacava nessuno e la cosa era ampiamente reciproca) e, siccome la persona con cui ero arrivato voleva restare, ho salutato e me ne sono andato a piedi a casa, al buio, per un paio di chilometri.
A casa dormivano tutti, il frigo era vuoto come il mio stomaco, il fuoco del caminetto spento.
In quel caso, la morte sarebbe stata una visita sgradita?

E' che a quarantatré anni suonati la pazienza è finita.
Si vuole fare soltanto quello che si vuole fare.
Pleonastico, ma è così.
E se non è possibile, se la cosa si fa difficile, non è più tempo di lotta.
Si scappa finché si può.
E altrimenti, dono gli organi.
Tanto, nemmeno suonare mi riesce più come una volta.






giovedì 8 novembre 2012

Desistere, desistere, desistere

 
Questo doveva essere il titolo del post di ieri.
Solo che mi è venuto in mente oggi.
Avrebbe avuto più successo, credo, di uno sfogo anonimo.
Eppure, spesso, le lettere anonime colgono nel segno.
E', credo, la loro natura misteriosa che spaventa.
Una volta mi trovavo a difendere una persona accusata di non so quale reato inerente dei fondi di montagna, a seguito di una denuncia di cui non conosceva l'autore. Questo poveraccio, assolutamente innocente, sospettava di qualche suo nemico, e mi chiese ardentemente di poter fare in modo di verificare nel fascicolo delle indagini chi fosse stato a indirizzare le indagini contro di lui.
Il mio cliente era una persona di indole buona, ma, come tutti i montanari, piuttosto rude e incline alla vendetta a tutela del proprio onore vituperato. Quindi, non mancava l'occasione di preannunciarmi cosa avrebbe fatto a chi lo aveva calunniato.
Finalmente riuscii ad essere autorizzato dal Pubblico Ministero ad estrarre copia del fascicolo in cui era contenuta la denuncia. Mentre sfogliavo il corposo incartamento in cerca di quel nome, ero alquanto dubbioso sulla opportunità di riferire al mio assistito le generalità dell'accusatore, non avrei voluto scatenare una faida. "Mah, vediamo di chi si tratta e poi deciderò", mi dissi, mentre ero giunto ad avere fra le mani quel foglio dattiloscritto, in calce al quale era stata apposta una sottoscrizione.
Non riuscivo a credere ai miei occhi, e già iniziavo a tremare, quando realizzai che quel nome era il mio!
"Giovanni Laurito", si leggeva sotto quella serie di ingiurie e calunnie che avevano condotto il mio cliente da diversi anni sotto processo penale.
Già mi vedevo con il cranio spaccato in due da un'ascia, maneggiata sapientemente dal mio assistito, boscaiolo, con la camicia di flanella a quadri che a malapena conteneva guizzanti bicipiti.
Pensai di raggomitolarmi sotto la toga ed attendere i fendenti, come Cesare dinanzi al Senato, alle Idi di marzo.
Era chiaramente una firma falsa, la grafia non era la mia, però non credo che la presenza di un perito grafologo avrebbe dissuaso il vindice braccio.
Il caso volle che, prima di riferire la ferale notizia, ne parlassi a casa, dove mio padre mi tranquillizzò: esisteva un mio omonimo, proprietario di un fondo confinante a quello del mio cliente. Niente di più facile che fosse stato lui l'autore della denuncia.
Quando glielo riferii, egli fortunatamente non ebbe dubbi sul mio conto - magari non sapeva neppure come io mi chiamassi, si rivolgeva sempre a me "nè avocà", ma diresse immediatamente la sua ira nei confronti del Giovanni Laurito giusto.
Il caso volle che di lì a poco egli fosse comunque assolto, quindi la vendetta non si compì mai, se non, credo, in forma verbale, non meno grave, forse, per noi che sappiamo che le parole sono come pietre, ma quando hai a che fare con soggetti che le pietre le scagliano meglio di una catapulta, sempre meglio le parole.
 
Non so perché ho raccontato questo aneddoto. Tutto è nato da un titolo che non c'era.
E dalla voglia di desistere dal desistere, per non trasformare un titolo di testa nei titoli di coda.
 
E comunque, il colpevole di tutto è il mio cliente, firmato Giovanni Laurito


giovedì 1 novembre 2012

Jovanotti e Modugno

Piove.
Un giorno sprecato.
Quante frasi fatte.
Governo Ladro! Piove sul bagnato.
E le canzoni, madonna come piove sul nostro amor.

Piove.
C'è chi vorrebbe dissolversi in nebbia.
Io invece preferisco i goccioloni. Lì è tutto chiaro.
Lì ti rendi conto che l'ombrello è necessario.
Con la nebbia, pensi un po' d'umidità che vuoi che sia?

Piove.
Tempo di bilanci.
Ma cazzo, ogni occasione è buona per fare bilanci?
E la fine dell'anno, e il nuovo inizio, e la primavera, e l'autunno ...
Non l'ho capito ancora che il mio bilancio non sarà mai approvato?

Piove.
E non la smette, così ad ogni capoverso posso riscriverlo.
Vorrei anche descriverlo, ma non è una pioggia speciale.
E' la solita acqua che cade dal cielo.
Quella di Jovanotti e Modugno, dei Supertramp. It's raining again.

Piove.
Adesso i minuti son tanti,
un acquazzone che intride pure i sassi.
E' il giorno di Ognissanti.
E io li ho invocati tutti, bloccato in auto, nell'attesa che passi.