Visualizzazioni totali

giovedì 21 marzo 2019

Aspetta primavera, Giovanni

Anche se lui era molto più grande di me, e io avevo neppure sedici anni, parlavamo di ragazze. Di quelle che mi piacevano, alcune così belle da sembrarmi irraggiungibili. Gli chiesi chi fossero, quando lui era ragazzo, le più belle del paese. Mi fece alcuni nomi. All’ora in cui ne parlavamo, potevano avere sui quarant’anni. Una di loro era ormai sfiorita, consumata dalla fatica - era una contadina - dalle gravidanze, dalle ristrettezze. Possibile?, gli chiesi. 
Ci incantavamo ad ammirarla, all’uscita dalla messa, mi rispose, aveva un viso da madonna e delle gambe da modella, sembrava camminare su un tappeto volante. 
Con chi stava? Con nessuno, sicuro era vergine quando si sposò. Ma poteva avere chiunque ai suoi piedi. 
Non era andata così. Era stata solo di uno, la bellezza preservata e però presto svanita. Chissà, mi domandai, se era comunque felice, in qualche modo, della vita che aveva scelto o di quel che la vita aveva scelto per lei.
Dopo suonammo un po’, io il piano lui la chitarra, canzoni degli anni ‘70, il pomeriggio passò così. Andando via incrociai proprio una di quelle ragazze che erano in cima a tutte le classifiche di noi ragazzi. Bella da togliere il fiato. Aveva - ancora lo ricordo - una gonnellina fucsia con pallini bianchi, sembrava una farfalla. Le gambe nude, il seno arrogante dei quindici anni, andava a passo svelto verso il ponte. Le dissi un ciao che sentii solo io, lei prese a correre. La seguii con lo sguardo, non si voltò.

L’ho rivista oggi, per caso. Non mi ero mai soffermato su di lei, sul tempo passato. Mi ha salutato, stavolta, sembrava un po’ triste. 
Le ho sorriso. 
E di colpo mi è tornato in mente il discorso di quel pomeriggio di tanti anni fa, con il mio amico più grande, che non c’è più. 
L’ho osservata con lo stesso triste sgomento con cui avevo immaginato la bellezza sfiorita dell’altra ragazzina ammirata tanti anni prima dal mio amico.

Poi però mi sono detto che il tempo è solo una convenzione, che noi siamo sempre gli stessi, e quelle rughe ai lati della sua bocca un tempo carnosa e attraente sono sentieri magici lungo i quali i miei occhi - anch’essi così diversi eppure uguali nel ricordo - si son messi di nuovo ad inseguirla mentre correva verso il ponte, leggera come una farfalla, profumata come un fiore, irraggiungibile come un desiderio.

mercoledì 13 marzo 2019

50 special (e non parlo della Vespa)

Ci si abitua a tutto.
Alla solitudine, ma anche alla compagnia di persone speciali.
Di quelle normali, un po’ banali, lievemente ignoranti no. Perché sono rassicuranti, ti fanno sentire migliore, e in più hai sempre la speranza di una piccola sorpresa, che azzecchino un congiuntivo, comprino una panda nuova, mettano le patatine fritte sulla solita margherita. 
Invece quelle speciali, dopo l’esaltazione iniziale, diventano routine, ti annoiano a morte, e poi oltre a farti sentire inferiore, visto che si sono innamorate proprio di come apprezzavate il loro essere speciali, vogliono che glielo ricordiate continuamente.
Eduardo Di Filippo: cara, scusa che te scéto, ma t’aggia rice subito sta scena geniale c’aggio pensato!
Moglie: Che palle, ma duormi, ha da passa’ ‘a nuttata...
...
Madame Curie: Amore, ho inventato il radio!!!
Monsieur Curie: ok ma abbassa il volume, vorrei riposare.
...
Ligabue: Piccola stella senza cielo, ascolta, ho scritto una nuova canzone per te!!!
P.S.S.C.: uh mamma, sempre i soliti accordi...
...
Perché il livello perennemente elevato non fa più notizia, annoia e genera pure fastidio, a un certo punto. Basti pensare ai governi di un tempo, gente seria e preparata, un po’ grigia, soppiantata da buffoni chiaramente più ignoranti e inadeguati ma dai quali potersi attendere finalmente delle sorprese (negative, ma tant’è).
Del resto, in una relazione di coppia ci si ricorda le consuete banali erezioni o quell’unica defaillance?
Ci si ricorda la rosa regalata o le spine che ci hanno punto le dita?
La moglie di Einstein quando lui faceva le puzzette nel letto riusciva a non farci caso pensando che è tutto relativo?
L’impresa eccezionale è essere normale, cantava Lucio Dalla, un altro che non c’è mai riuscito, o andate a riascoltare Quattro stracci di Guccini, per capire il contrasto stridente fra le diverse visioni della vita. 
Per quanto mi riguarda, entrato da un paio di giorni nel mio secondo tempo (spero nessuno mi spoileri il finale) mi sono proposto per le scene che mi mancano, per renderle più attraenti, di essere il più normale possibile, ignorante il giusto, con idee rare, poco originali, come questo post, o come la donna seduta di fronte a me, nel treno, che legge un libro che trovo stupido, e però paradossalmente proprio per questo avrei tanta voglia di parlarle per chiederle cosa ci trova.
Perché, come in un quadro di Hopper, lo straordinario talento dell’artista non sta nel soggetto, banale e quotidiano, ma nell’aver deciso di rappresentarlo.