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domenica 21 ottobre 2012

Adesco o mai più

La vita sfugge di mano.
Che mi sia stata mai in mano, è un altro discorso.
Che sfugga, non c'è dubbio.
Già in gioventù, il problema mi era chiaro, infatti chiamai Tempo Sprecato il mio complesso.
Il cui successo tenne fede al nome che avevo scelto.
E da sempre, a chi mi chiede come immagino di morire, rispondo "con un infarto per la paura di morire".
In alternativa, c'è sempre l'ipotesi dell'incidente stradale in cui i soccorritori mi trovano cadavere tra le lamiere accartocciate mentre l'autoradio, miracolosamente illeso, continua a trasmettere un pezzo di Concato. Guido piano. Ma anche Domenica Bestiale, dipende se eravamo nel weekend (yes weekend, lo slogan di Obama che si riposerà dopo avere perso le prossime presidenziali USA).
Insomma, sto divagando, lo so, ma è che mi scanto (v. Camilleri) di affrontare l'argomento.
Da tempo progetto di pubblicare, riveduti, corretti e collegati fra loro, i post di questo blog e dei precedenti (Il Tombino e Il Contrario di tutto).
Stanotte mi è venuto in mente un magnifico titolo: Sogno di una notte di mezza età.
Conoscendomi, il progetto si fermerà qui, alla soddisfazione per avere trovato il titolo.
L'effetto brutale è stato quello di accorgermi che, realmente, sono un tizio di mezza età.
A questo ho collegato un articolo letto sulla Stampa qualche tempo fa (facilmente recuperabile su internet): "Uomo di mezza età, il profilo del suicida ideale".
Insomma, Dante era sulla via di mezzo a trentacinque anni.
Gli studi attuali collocano la mezza età sui cinquantacinque.
Io ne ho quarantatrè, più nel mezzo di così!
E, dunque, è l'ora di esorcizzare le mie più che giustificate paure con una botta di vita.
Prima che mi sfugga di mano.
Avevo pensato di comprare il nuovo I Phon, ma, diciamoci la verità, a chi serve davvero un telefono che asciuga anche i capelli? E, poi, visto il loro diradarsi, mi metterebbe in crisi ancor di più.
L'orecchino? Un bel solitario, magari. Ma così saremmo in due, e la parola perderebbe significato.
Ho deciso. Devo farmi un'amante. Donne, siete avvisate.
Adesco, o mai più.



mercoledì 17 ottobre 2012

Ho voglia di te

Ci sono film, tratti da romanzi cult, che pur affidati alle mani di sapienti sceneggiatori, non sono riusciti a ricreare le atmosfere del libro.
Gli esempi sarebbero numerosi, da Alta Fedeltà a La versione di Barney.
E ci sono invece film che sono riusciti ancora meglio dei romanzi da cui erano tratti.
Penso a Shining di Stephen King, una storia contorta con un finale troppo surreale, che, nelle mani sapienti di Kubrick e con l'interpretazione luciferina di Nicholson, è passata alla storia della settima arte (parlo del cinema; l'ottava è il rutto polifonico).
Ci sono, infine, cose che si pensano in un modo ma si espongono in maniera diversa.
C'è chi scrive da Dio, che trasforma in prosa alata anche la lista della spesa.
E c'è - qui tocchiamo il tasto dolente - chi si arrabatta ed industria in ogni modo a mettere per iscritto i propri pensieri, i sentimenti, le emozioni, cercando di trasmetterle al lettore nella loro forza e intensità, ma che nei fatti, molto spesso, sortisce l'effetto contrario.
Che se vuole essere ironico, viene preso per sarcastico.
Che se prova ad essere romantico, è solo stucchevole.
Che la sua malinconia appare solo lamentele di una depressione patologica.
Che se, per caratteriale timidezza, vuole provare a farsi capire senza dire veramente, passa per freddo.
Incompreso.
Come il film di Comencini, tratto da un romanzo di Montgomery.
Brutti entrambi.
Eppure, credimi, ho voglia di te.
E Moccia non c'entra un fico secco.