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lunedì 16 dicembre 2013

Regali di Natale

Quali sono state le invenzioni che ci hanno cambiato di più la vita?
Non parlo delle automobili, dell'elettricità, della televisione, insomma di quelle cose che abbiamo trovato già bell'e fatte. Intendo dire quelle che sono state realizzate dopo la nostra venuta al mondo, quelle che la vita l'hanno cambiata pure a noi. Sicuramente il telefono cellulare, che io me le ricordo bene le cabine, i gettoni che finivano nel bel mezzo della frase, e, d'altra parte, il poter essere da qualche parte senza che nessuno ti potesse rompere le scatole. E poi internet. Che con wikipedia ha fatto sparire le enciclopedie polverose che prima appesantivano le nostre mensole e le nostre ricerche scolastiche. E il navigatore.
Ma ce ne sarebbero ancora molte altre, perché la tecnologia avanza a passi da gigante, come leggevo stamattina, su Donna Moderna, mentre facevo la cacca, nella pagina dei regali di Natale hi-tech, piena di strumenti avveniristici, che magari neppure pensavo fossero stati già inventati.
Peccato che poi il tempo di lettura sia finito - quello è variabile - prima che potessi completare l'osservazione di tutti quegli spettacolari congegni.
Una invenzione di magari nessuna utilità, ma che mi piacerebbe davvero molto, sarebbe un chip impiantato in una lente a contatto, sul nervo ottico, o addirittura nell'ippocampo, collegato ad una fotocamera miniaturizzata, che permettesse di fotografare i ricordi.
Funziona così: tu ripensi a qualcosa del tuo passato, ad un'immagine a te cara e ormai irrimediabilmente trascorsa, clicchi con la palpebra, e questa ti si ferma e si scarica tramite Bluetooth dal dispositivo che ti è stato impiantato. Delle vere e proprie foto-ricordo!
Potresti rivedere episodi indimenticabili ma che non sono mai stati realmente immortalati in presa diretta (quando tu eri ragazzo il cellulare, l'hai detto, non c'era) il meraviglioso volto di quella ragazza sulla quale volevi fare colpo e perciò le dicevi che se aveste avuto almeno cinquanta cose in comune eravate fatti l'uno per l'altra, e dovevate mettervi per forza insieme. E così continuavi a chiedere "ti piacerebbe vedere le Piramidi?" "Sì", "anche a me", e così via, fino a cinquanta, fino a quando era inevitabile mettersi insieme, e glielo leggevi negli occhi, grandi e ingenui oltre ogni dire, ma eravamo ragazzi.
Quello che non potresti fotografare sarebbe la tua faccia di bronzo, in quei momenti.
Là dovresti andare sul menu "condivisione" e scaricarla dalle foto-ricordo di quella ragazza di allora. Chissà come mi vide. Credo ne uscirebbero foto molto, molto mosse, perché doveva essere davvero miope a mettersi con me.
Ma erano altri tempi, più di vent'anni fa.
Quando in tasca non avevo neppure una lira, al massimo un gettone telefonico.
Ma tanti di quei sogni da riempirci tutte le pagine della vecchia Wikipedia sulla mensola.
Mentre ora rimangono solo ricordi.
E sciocchi stratagemmi per pensarci.

venerdì 6 dicembre 2013

Una pietra sopra

Puoi vivere per anni un'esistenza piatta, fatta di pantofole calde e buone letture e piccoli riti quotidiani, il caffè, quel programma che ti intriga, la telefonata ai parenti, il placido tran tran di un lavoro che non ti arricchisce ma ti consente di toglierti qualche piccolo sfizio di quelli che piacciono a te, una mappa del Cilento del '600 comprata su ebay, la raccolta integrale delle commedie di Eduardo, un orologio da tasca così squisitamente demodé, che non indosserai mai, ma hai comprato per il puro piacere di averlo, che ti ricorda le serate da tuo nonno, tanti anni fa, quando ti insegnava le ore su quella cipolla che estraeva dal panciotto.
E non ti manca niente, e ogni altra cosa sarebbe superflua, un inciampo, invece tu hai costruito il tuo nido prima del passaggio a livello, che rimanga perennemente chiuso non è un tuo problema, anzi, a lungo andare, ti sei anche dimenticato che ti eri fermato, e perché l'avevi fatto.
Poi, un giorno, per caso, senti un rumore di fondo. Prima pensi al frigorifero, a quello sciocco cassone da 44 decibel che ti avevano assicurato silenziosissimo ma invece carica come un trombone.
Poi il rumore aumenta, sempre più intenso, e allora ti desti dal torpore, e ti accorgi che il treno, quello che aspettavi quando avevi vent'anni, e del quale, alla fine, ti eri scordato, sta finalmente passando.
Ha il suono della voce di un amico che non vedevi da tempo.
Il trillo che ti tenta con il numero sul display di quella donna che hai così tanto desiderato.
La mail dell'editore a cui hai inviato il tuo romanzo, magari è stato accettato.
E l'esito delle analisi di quello che sembrava solo uno stupido malanno.
Allora rimani lì, inebetito, incerto, come il turista all'incrocio.
Posa da antico romano, iconografica, il libro in una mano, la coperta di Linus sulla spalla come una toga. E ripensi, in un attimo, a tutti i vizi che non hai avuto, le occasioni che non hai colto, le casse del tesoro che non hai aperto, ed anzi hai seppellito di nuovo, cancellando anche le tracce che potessero consentirti di ritrovarle.
E all'amico hai detto che sì, ci sarà l'occasione per mangiare una pizza, e per ricordare i vecchi tempi, lo richiamerai tu; quello che, invece, non farai con quella donna, che le rette parallele sono destinate a non incontrarsi, al limite a salutarsi da lontano con la manina, o a mandarsi i biglietti di auguri.
Perché lei è la tua eroina, ma le emozioni danno dipendenza, lo sai. Non ne avresti mai abbastanza.
E poi, dopo l'euforia, c'è matematicamente la botta, il down.
Una chiamata persa, magari un'altra ancora, poi stupita, chissà, offesa, la smetterà.
E la mail sicuro era solo una pubblicità, meglio cancellarla, chissà, poteva contenere un virus.
Le analisi, si vedrà, un passo alla volta, che le malattie hai voglia ad aggredirle, sono un muro di gomma, usano la tecnica dello judo, sfruttano la tua forza e te la ritorcono contro, invece devi fare finta di niente, fregarle con la finta vulnerabilità, usare l'arte della guerra di Sun-Tzu.
Torna alla tua coperta, lasciati di nuovo avvolgere dal torpore, e magari in sogno confonderai il suono del treno con un gatto che ti fa le fusa, rron rron.
Ancora una volta, come hai sempre fatto, ci metti una pietra sopra.