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giovedì 28 agosto 2014

Ritratto di persona tradita

Ho scritto e cancellato questo pezzo un'infinità di volte. Nato stanotte in uno scioccante elenco di facce che mi tornavano in mente, ognuna un ricordo di un dolore da descrivere, il compagno bullo, l'amico perduto, la donna giusta dimostratasi sbagliata, quelli che eravamo dalla stessa parte e poi l'hanno lasciata per fare i propri interessi. Non mancava nessuno, volevo parlare di tutti loro, come una nemesi, un esorcismo. Ma poi con la luce del giorno ha prevalso il buon senso, così mi sono scattato un selfie. La mia faccia consumata nascosta dal palmo della mano aperta. Il mio centesimo post. Ritratto di una persona tra-dita.


lunedì 25 agosto 2014

Attraverso lo spicchio

Anna era una bambina bellissima cresciuta a pane e proverbi. Viveva con sua nonna, che ne aveva uno per ogni circostanza. Da grande quei paletti avevano delimitato la sua vita.
Una vita mediocre. Perché non aveva mai potuto fare il passo più lungo della gamba.
Una vita ad accontentarsi, meglio un uovo oggi.
Una vita in direzione obbligata, mai lasciare la via vecchia. E così via.
E si era ritrovata a trentacinque anni, con un lavoro insoddisfacente e sottopagato di infermiera, che però non osava lasciare e un uomo più grande di vent’anni cui era stata destinata quando lei ne aveva appena quattordici e il cui massimo slancio di affetto era stato non aver ancora riattaccato la fibbia alla cintura quando si era rotta a furia di colpirla.
Era in camera da letto. Una stanza completamente disadorna. Dall’armadio semiaperto s’intravedevano i pochi vestiti banali e dimessi. E nel letto, già immerso nel sonno, il fagotto informe del marito ronfante.
Lei si stava pettinando come al solito davanti allo specchio i lunghi capelli che di giorno portava raccolti, ma l’immagine che le rimandava il cristallo le sembrò un po’… strana. Niente di particolarmente sconvolgente, più una cosa tipo “scova le sette piccole differenze”. Una piega volitiva delle labbra, lo sguardo più intenso e deciso, il sorriso, così raro, che faceva capolino. E poi una consapevolezza nuova. Sul ripiano della credenza, il cestino della frutta, otto mele golden. Quei pomi di cui il marito era così ghiotto tanto da volerne sempre addentare una anche prima di andare a dormire. 
"Una mela al giorno leva il medico di torno".
Come d’incanto, quei frutti dorati sembrarono animarsi. Apparvero occhietti e boccucce e poi presero a fluttuare per la stanza e ad inseguirla e lei fuggì, temendo volessero morderla. Ma quelle labbra non nascondevano denti aguzzi, solo sorrisi. 
Si disposero ad orbitare intorno a lei, come satelliti, e la invitarono a seguirla… nello specchio!
Vi si lasciò condurre. E in quel mondo rovesciato la sua stessa camera da letto era tinteggiata con colori soffici e avvolgenti e ospitava arredi eleganti ed abiti alla moda. Le sfuggì un gridolino di sorpresa e gioia, ma subito si portò le mani alla bocca, preoccupata di svegliare il marito, sapeva bene quanto poteva essere pericoloso! E difatti il fagotto iniziò a muoversi, e tese una mano verso di lei, come a volerla afferrare. Lei provò a ritrarsi terrorizzata ma non fece in tempo, e in un attimo fu fra le sue braccia.
Braccia forti e delicate, che l’accarezzarono e la coccolarono e la strinsero, fino a farle dimenticare ogni dolore passato.

Quando si svegliò, faticò a comprendere se era stato davvero solo un sogno.
Probabilmente sì, nella realtà la frutta non insegue le persone. Ma quanto era stato vivido! E che emozioni forti aveva provato, una sensazione nuova ed inaspettata che difficilmente le si sarebbe ripresentata nella sua stanca e triste quotidianità di botte e fatica.
Lo specchio era ancora lì. E pure il cestino con le mele di cui il marito era ghiotto.
Si ricordò di Alice. “Quasi quasi ci provo. In fondo, se andasse male non potrà che essere una nuova delusione, e a quelle ci sono abituata. Ma se ci fosse una sola possibilità di inseguire ancora quel sogno…”
E si tuffò. Con un’iniezione di tetracloruro di carbonio.
Attraverso lo spicchio.

martedì 5 agosto 2014

La banalità del mare

Zahid se ne frega. Con la sua veste di lino bianco che protegge dal sole la pelle ambrata volteggia fra gli ombrelloni come un pulcinella di mare. Indifferente alla nostra indifferenza.
Si siede quando ne ha voglia e se è in vena ti racconta la sua storia.
Che non è fatta come noi presunti benestanti pensiamo di fughe dalla fame e da paesi sconfitti.
Zahid è un insegnante elementare al quale conviene arrotondare lo stipendio con quest'attività da vu cumprà in Italia. "Non sono un disperato", mi dice. E gli leggo negli occhi il pensiero che i disperati siamo noi. Che quando fingiamo di non avere soldi per non comprare magari una volta era uno scherzo ma ora la verità non è poi così lontana.
Negli ultimi anni è aumentata la forbice fra i poveri e i ricchi. Chi ha di più ha sempre di più, e chi ha di meno non ha più quasi niente. Ma noi della zona grigia, in Italia, nel sud dell'Europa e nei paesi del nordafrica e del medio oriente, ci stiamo avvicinando, ci stiamo compattando.
Loro che dribblano gli ombrelloni e noi che ci siamo sotto, con la testa nella sabbia come gli struzzi, non siamo più così diversi. Inutile cercare la fuga alle loro spalle, non li insegue nessuno.
Le storie che ci raccontano non accomunano più il loro presente al nostro passato di emigranti.
Sono storie quotidiane di un presente faticoso al di qua e al di là del mediterraneo.
Non osserviamoli con stupore, con pietà o addirittura con disprezzo.
Sono persone come noi, sono il nostro specchio, non il ritratto di Dorian Gray.

Il titolo del post cita in maniera che potrebbe sembrare irriverente e me ne scuso l'immortale saggio di Hannah Arendt (La banalità del male) sul processo ai gerarchi nazisti dalle cui deposizioni non emergevano profili di chissà quali serial killer ma di persone dalle vite ordinarie, in cui il male era diventato parte integrante del quotidiano accanto alle letture, la pappa ai bambini e le feste di compleanno.