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venerdì 28 ottobre 2022

In giustizia

 Guardarsi in giro in tribunale è come essere in una stazione ferroviaria.

Incroci per un po’ le vite degli altri, alcuni turisti per caso, altri pendolari come te. C’è l’avvocato che ha tante cause, entra ed esce dalle aule spavaldo, e quello che ne ha una sola, forse in assoluto, e inchiodato alla sedia scrive verbali interminabili di parole inutili e suda, un po’ in imbarazzo quando tocca a lui come se attendesse chissà quale esito e invece è solo un rinvio. C’è la collega graziosa con gli occhi dolci e chissà perché sempre un po’ tristi, e quella disinvolta che pattina nel corridoio su tacchi alti come sgabelli. C’è il testimone illuso che sbuffa perché credeva l’orario sulla citazione fosse rispettato e il cancelliere che trasporta il carrello coi fascicoli proprio come il portabagagli sul binario. Ci sono i coniugi che stanno per separarsi, come due che partono per destinazioni opposte, lei con gli occhi rossi di pianto, lui che passeggia in cerchio per stemperare l’ansia e quando le passa davanti lancia uno sguardo in tralice, scuote la testa e prosegue lungo la circonferenza che racchiude il destino della loro storia. C’è l’anziano avvocato che pur in pensione da decenni non riesce a staccarsi del tutto dal lavoro di una vita, come dicono càpiti ai fantasmi, e ci sono i giovani praticanti smarriti che toccano con mano la differenza fra le serie tv americane e la realtà. Gente che va, non sa dove stia andando ma va lo stesso, perché l’importante è sentire che vai, come cantava qualcuno. 

I tribunali sono come stazioni ferroviarie e c’è pure l’avvocato curvo sul telefono che scrive un post su quel che vede, per ingannare l’attesa che venga chiamato il proprio processo se arriverà il giudice, perennemente in ritardo proprio come il treno che dovremmo prendere e forse non prenderemo mai. E magari meglio così, perché come per il viaggio, in fondo l’attesa della sentenza è essa stessa sentenza.

mercoledì 11 maggio 2022

Del tempo e di altre sciocchezze

T’incontri, non sai che dire, parli del tempo.

Piove. Sì. Questo maggio sta dando molti argomenti di conversazione.

Non ho un ombrello.

Mi mancano molte cose.

La serenità.

La pazienza.

E un ombrello. 

Ma tanto non avevo voglia di uscire.

A maggio l’altr’anno eravamo già andati in spiaggia. 

Boh. A me pare piovesse pure allora. Quella mattina che venisti qui, non ci bagnammo?

Lascia stare il passato, pensiamo al presente. Però si è vero, ci bagnammo, mi tolsi i vestiti.

Prima o dopo? 

Sei sempre il solito.


T’incontri, non sai che dire, parli del tempo. E come sempre, dai ricordi che ti piovono addosso non hai un ombrello a proteggerti.

Era de maggio, cantava qualcuno.

E ogni anno così.


sabato 26 febbraio 2022

Cercasi miracoli

Il senso del divino non lo avverto fra i marmi e le opulenze di una basilica sfarzosa, ma a volte mi sfiora fra le rovine di un tempio. Perché a ciò che è solo illusione non riesco a credere, mentre in mezzo alle vecchie pietre c’è solo verità. Non ci sono più le speranze e le preghiere, resta solo la traccia della fiamma di una candela su un muro. Il mio dio è il tempo che passa. Spesso porta dolore, qualche rara volta frammenti di indicibile bellezza. Certo, miracoli non ne fa. 

Ma neppure il vostro, mi sa. 

Soprattutto ultimamente.