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lunedì 14 aprile 2014

Giudizio universale. In particolare.

A tutti piacerebbe partecipare al proprio funerale.
In maniera cosciente, intendo; che come salma è altamente probabile che ci capiti davvero.
Ma poter vedere di persona (magari come un fantasma fra la folla) le lacrime, di molti o di pochi, misura del proprio passaggio sulla terra, è occasione che ci è negata. Anche se dubiterei della significatività delle lacrime degli altri verso di me, visto che dubito delle mie verso gli altri. Il funerale è occasione anche mondana, difficile capire dalla partecipazione i sentimenti veri verso l'estinto, magari era solo voglia di esserci per esserci.
E poi ognuno ha un modo diverso di rendere omaggio, non necessariamente con la presenza.
Peppino De Filippo non partecipò al funerale di Totò, immenso partner artistico e buon amico.
E Leo Ortolani - creatore di Rat-man - evidenziò l'irriconoscenza di quegli amici che noi siamo andati al loro funerale e poi loro non vengono al nostro.
Conoscere quello che significhiamo veramente per gli altri...
La lettura del pensiero? Come in quel film, What women want, con Mel Gibson.
Ma anche qui, riflettendo su quel che noi stessi spesso diciamo ad alta voce o nella nostra mente degli altri, d'impulso, per battuta, senza crederlo veramente, ci farebbe davvero piacere sentire quel che pensano gli altri, così, senza il filtro della buona educazione o della riservatezza? No, sarebbe probabilmente una ferita esiziale al nostro ego, e nemmeno in questo caso ci darebbe la reale cognizione di ciò che gli altri vedono in noi. Pirandello ci scrisse un romanzo, Così e se vi pare - o meglio ci scrisse, dichiarandolo o meno, gran parte delle proprie opere - sulla incolmabile differenza fra come ci vediamo e come ci vedono.
Eppure, al netto di esperienze extracorporee, poteri paranormali ed espedienti letterari, mi intrigava davvero poter avere una visione "altra" di me. Possibilmente migliore di quella che ho io, che anche per quanto mi riguarda, fra il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, tendo a vederlo mezzo rotto.
Così ho sfruttato le mie conoscenze di avvocato e ho fatto intercettare i miei telefoni, in modo che non sfugga neppure una parola; poi ho anche incaricato un investigatore privato che mi segua in tutti gli spostamenti, preparando un bel dossier fotografico.
Poi questo blog, in cui mettere per iscritto ogni pensiero strampalato che possa contribuire ad avere una visione a 360° di chi è davvero Giovanni Laurito.
Quando tutto il materiale sarà raccolto, toccherà poi esaminarlo con attenzione per avere un responso altamente obiettivo, per poter dare un giudizio serio e non di parte su come lavoro, su quello che dico e scrivo, su come mi rapporto con gli altri, su come sembro e come sono.
Certo, se a valutare dovrò essere sempre io, qualche escamotage occorrerà trovarlo.
Come quel personaggio del romanzo di Ammaniti, Come dio comanda, tanto sfigato con le donne che arrivava a congelare la proprio mano fino a perdere completamente sensibilità, per potersi masturbare immaginando che lo stesse facendo una ragazza che gli piaceva.
Io potrei mettere direttamente la testa nel secchiello del ghiaccio, insieme ad una bottiglia di champagne. E non avrei fatto male a farlo prima di scrivere questo post senza capo né coda.
E non è escluso che sia successo, dopo aver stappato lo champagne. Perché questo sono io.
Uno che parte per non arrivare (perciò viaggia in treno). Uno che crede più nel percorso che nella meta. Uno che non lascia mai correre, e che si segna tutto al dito (medio). Uno che scrive queste cose perché anche i commenti (e i non commenti!) nei blog sono la spia di quel che si è davvero.