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giovedì 13 settembre 2018

Il suono del silenzio

Attendo una sentenza importante che non arriva, e la cliente, in ansia, mi chiede di interpretare il silenzio dei magistrati: "sarà che intendono darci ragione e però hanno bisogno di più tempo per motivare?" "Ma il caso era facile, bastava poco, se stanno impiegando di più è forse perché, in realtà, ci daranno torto?". 
Mi barcameno, non so cosa rispondere, se non che faccio l'avvocato, non il veggente.

Io odio il silenzio.
Ho sempre studiato, prima, e poi lavorato, ascoltando musica.
Non mi piace stare a tavola con persone che pensano solo a mangiare e non a conversare.
In auto, con quelle persone che te le dimentichi sul sedile posteriore.
In treno, con quelle che dormono per tutto il viaggio, pur sapendo che io non dormo mai.

Peggio ancora, il silenzio ad una domanda, ad una proposta.
Silenzio-assenso. Silenzio-rifiuto- Silenzio-rigetto. 
Mi tornano in mente le formule studiate all'esame di diritto amministrativo, le manifestazioni del cosiddetto "silenzio significativo". Per me, invece, non è mai significativo, come si fa ad interpretare univocamente il silenzio?

"Il mio romanzo non è piaciuto". "No, lo sta leggendo con attenzione".
"Non ha risposto a quel messaggio con cui flirtavo un po'. 
Non le piaccio". "Le piaccio ma pensa che io la stia prendendo in giro".
"Che aspetta a dirmi se è arrivato? Sarà successo qualcosa?" "No, magari non c'è linea".

Il suono del silenzio, the sound of silence, cantava qualcuno tanti anni fa. 
Salve, oscurità, mia vecchia amica, sono venuto a parlare ancora un po' con te. 
Bisogna parlare, per non sentirsi soli, per scacciare il buio.
Chi tace acconsente a che l'altro vada in paranoia.

La smetto, ma quante cose ci sarebbero ancora da dire sul silenzio.
Se leggerete questo ossimoro, rispondetemi subito, però.
Vi dirò pure l'esito di quella sentenza.