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venerdì 19 settembre 2014

Ah, felicità...

Un buon metro della felicità e' quante cose ti son piaciute. Stasera ho voglia di un po' di felicità, e siccome qualcuno ha detto che i veri piaceri risiedono sempre nella memoria, mi va di ricordare il profumo delle figurine panini appena scartate, i miei primi accordi di chitarra acustica, le storie di topolino degli anni settanta, pezzi di vetro cantata in diecimila al concerto di de gregori nell'88 a Roma, pezzi di vetro cantata in due, solo in due, una notte di tanti anni fa fingendo indifferenza e montando desiderio, le corse sulle montagne russe dell'Edenlandia a Fuorigrotta col cuore in gola, il cannocchiale sul Gianicolo dal quale abbracciavi tutta Roma, le parole taumaturgiche di mia madre che mi teneva la mano accanto al letto, dormi che ti passa, l'accento siciliano di una ragazza conosciuta per caso, il sorriso all'entrata della chiesa e l'extrasistole di te che aspetti all'altare, quelle giornate al mare tutti insieme, ancora spensierati, quegli esami dall'esito negativo e un profondo sospiro di liberazione, l'orgoglio per una promozione, gli applausi scroscianti per una tua creazione e l'abbraccio in privato, di soddisfazione, una vittoria che non sapevi ancora peggiore di una sconfitta, la fierezza di una schiena sempre e comunque diritta, il ritorno di un amico che credevi perduto, un messaggio inatteso di chi non sentivi da tanto, una promessa che allora credevi mantenuta, il finire di una serata come avevi sognato, una caramella al miele, un gelato, un libro e un po' di te. Volutamente senza accento.


lunedì 15 settembre 2014

Confidate nelle imitazioni

Il camaleonte, dalla sua foglia, guarda contemporaneamente me e la libellula. Magie della visione stereoscopica. Uno schiocco di lingua è sufficiente per capire che mi ha dimenticato, la scelta del piacere immediato e sicuro è preferibile rispetto alla curiosità momentanea per un essere così diverso da sé.
Lo osservo mentre consuma il pasto. Una bocca con le ali. Altro che Eros e i suoi cuori che volavano via. Ora sono solo le nostre parole ad essere alate. Il camaleonte sta declamando che è la sua natura, la libellula ha concluso il percorso per consentire a lui di proseguire il suo.
Verde, come la foglia su cui è posato. Al verde, in questi tempi di crisi, siamo tutti. Se si posasse sul mio portafogli sarebbe ancora più smeraldino. Eppure continuiamo a fingere un tenore di vita che non potremmo permetterci, usando anche noi la mimesi. La biologia e la nostra capacità di adattamento ci hanno insegnato la strada. Scrivo e mi fingo scrittore e poeta per essere accettato dagli scrittori e dai poeti, finti per definizione: chi parla mai in versi nella vita reale? Solo gli animali usano i versi. E quale sarà quello del camaleonte? "Color colore, fuggo al dolore, diverso mi fingo e altrove mi spingo".
Le finzioni, le imitazioni, il pretendere di essere altro ("pretend to be"), per ridere, per far ridere, per spiazzare. Mi riescono male le imitazioni, faccio Berlusconi, ma lì son buoni tutti. Ma chi altro? Nessuno, credo. Così provo ad imitare le voci che nessuno ha mai sentito, Napoleone mi viene identico, conciono tal e quale a Cicerone. Il principe dell'oratoria. Parole piene di vuoto, parole che fingono di essere alte e sono solo altre, vane emissioni sonore delle corde vocali con la gabbia toracica a fare da cassa armonica, dammi un la per accordarci sulla stessa tonalità. Ma tu, invece, ti fai più in là, come il camaleonte cambi ancora colore per non avere più il mio. Ma qual era, poi? Un arcobaleno, metti il camaleonte su un arcobaleno e non sbaglierai. Io, come lui, per te ho tutti i colori senza esserli davvero. E continuo a scrivere, cercando di essere me stesso senza riuscirci mai davvero, parlo e sto zitto come un muto, sto zitto e parlo come un mimo, come Marcel Marceau, il più famoso che, estremo paradosso, ha scritto meravigliosi aforismi, ci ha insegnato che è bene tacere ogni tanto, parlare solo se si ha davvero qualcosa da dire; il suo incontro con Mel Brooks, l'unica parola "Non", "No"; un mimo parlante, l'ossimoro stridente che richiama quello del camaleonte, il fenomeno cangiante.
L'ho lanciato in aria, ed è diventato trasparente, invisibile, volevo riprenderlo ma era svanito, non l'ho più trovato, come te, come le nostre promesse che sono finite come tutte le parole degli amanti nell'acqua e nel vento. Oportet. E' così che va, così che bisogna fare. 
Ma io non mi arrendo, e continuo a scrivere. Perché una storia non è mai finita per sempre, c'è sempre un seguito e io lo inseguo. Il camaleonte non è davvero scomparso, sta semplicemente amando. E solo chi ha fantasia in supremo grado potrà immaginare e saper descrivere il colore di un camaleonte abbracciato ad un altro camaleonte.

sabato 6 settembre 2014

Ricreazione

Jean-Lambert Pickman era un mentalista belga attivo alla fine dell'800, famosissimo anche in Italia, i suoi spettacoli teatrali sulla trasmissione del pensiero attrassero eminenti studiosi dell'epoca fra cui Cesare Lombroso, il padre della criminologia, che ne certifico' la effettiva capacità di leggere nella mente degli altri, in particolari condizioni.
Dopo aver riletto un saggio in argomento dei professori Grimaldi e Fronda del 1896, ho voluto anch'io sperimentare la mia attitudine al mentalismo.
Ho detto a mia figlia di pensare intensamente un numero da uno a dieci mentre io le stringevo le mani e la guardavo negli occhi per indovinare.
L'esperimento è' riuscito dieci volte su dieci.
Poi le ho detto di disegnare qualcosa su un foglio, mentre io nell'altra stanza dovevo provare a intuire e disegnare a mia volta la stessa cosa.
Anche in questo caso il risultato e' stato positivo.
Infine le ho chiesto di darmi un comando mentale e io lo avrei eseguito alla lettera, e così è' stato.
Non può essere, starete pensando.
E ho indovinato anche questo.


Sapendo che si dorme a fatica, approfitto per predispormi a piacevoli viaggi onirici. Difatti, scelta Scarlett Johansson come partner siamo usciti a cena. Lei era splendida, disponibile, solo che io avevo un po' di colite e non ho mangiato quasi nulla. Poi, cercando intimità, lei pensava ad un vino d'atmosfera, ma sono astemio, acqua naturale. Infine, in albergo, mentre lei mi aspettava sul letto in un'elegante vestaglia di seta slacciata nei punti cruciali, armeggiavo con la scheda e non riuscivo a chiudere la porta della camera, la luce era saltata, ho provato a cercare la fessura illuminando con l'accendino ed è' partito l'antincendio. Scarlett e' uscita di corsa dalla camera e dal mio sogno. Sono il Freddy Kruger di me stesso, unico caso in cui negli incubi mi metto paura da solo.


Mi piacciono i fumetti, l'etimologia delle parole, i baiocchi del mulino bianco, le donne a cui piaccio, quelle che ridono con me e non di me, i Dire straits e i Supertramp, la pioggia col sole, le serate estive in campagna in cui si vedono lucciole e stelle, le caramelle, le bonarie prese in giro, gli amici di una volta, leggere dopo pranzo, il giro di sol, camminare fingendo di avere una meta, le persone timide e auto ironiche, chi crede poco in se stesso e molto negli altri, le storie a lieto fine in cui però muore qualcuno dei buoni, i panettoni con i canditi, i quadri di Corcos... E soprattutto la cosa che più mi da' piacere e' creare. Una canzone, una storia.
Una emozione che si ripete ogni volta, sempre uguale e sempre diversamente irresistibile, che non mi basta mai. Creare, ancora e ancora. Sentirsi Dio. Anzi, da Dio.
Come un orgasmo, non a caso da noi campani definito l'arricrìo, il ricrearsi, la ricreazione, il nuovo Eden. Che era il paradiso terrestre ma anche un cinema porno a Salerno ai tempi dell'università.
Che finale perfetto che ho creato, sono proprio soddisfatto.
M'aggio arricreato.

giovedì 4 settembre 2014

Il pesciolino che voleva volare

C’era una volta un pesciolino che voleva imparare a volare.
Peccato che la sua casa non fosse un comodo nido su un albero da cui spiccare facilmente il volo, ma un profondo specchio d’acqua lacustre.
Egli era molto ma molto curioso, e il piccolo habitat subacqueo in cui trascorreva le noiose giornate, a malapena illuminate dai pallidi raggi del sole che filtravano sotto la superficie e le lunghe e buie notti insonni (sappiamo bene che i pesci non dormono mai!), non bastavano a soddisfare la sua brama di conoscere il mondo.
Non gli era sufficiente neppure il monotono panorama che talvolta osservava da sotto il pelo dell’acqua, un fitto bosco che circondava il lago e quasi oscurava anche la vista del cielo.
Il padre provava a rincuorarlo spiegandogli che si trattava soltanto di desideri passeggeri frutto della tipica irruenza giovanile, ma che col passare del tempo avrebbe apprezzato il luogo in cui la natura aveva destinato la loro specie, ed anzi lo aveva più volte avvisato di non affacciarsi sul pelo dell’acqua perché poteva essere molto pericoloso. Ma il pesciolino non si dava pace. E non gli fu certo di giovamento l’incontro con un salmone che, tornato nelle acque del lago dopo aver risalito per lunghi chilometri la corrente, gli raccontò della vastità degli oceani, dello spettacolo della terra in tutte le sue manifestazioni, dei colori, dei profumi, dei suoni, delle albe e dei tramonti, delle infinite specie animali e vegetali che aveva incontrato nel suo lungo cammino.
Lo pregò di portarlo con sé nel suo prossimo viaggio, ma il salmone spiegò che non tutti potevano allontanarsi dal luogo di nascita e il pesciolino non era fra quelle fortunate specie.
Così, ancora più triste e sconfortato, il pesciolino si diresse verso la riva per rimanere da solo per un po’ a smaltire la delusione. Si fermò sotto un piccolo pontile.
D’un tratto sentì dei rumori. Passi umani. Riconobbe le voci, simili a quelle che talvolta aveva sentito provenire dalle barchette che solcavano l’acqua del lago. Non però cupe come quelle dei pescatori, ma dal suono squillante e cristallino. Probabilmente, pensò, si tratta di cuccioli umani e, curioso come al solito, si predispose ad ascoltarli.
Non hai proprio idea di cosa ho sognato stanotte!” disse uno di loro.
Ce l’ho eccome, avrai immaginato di segnare un gol nella finale dei mondiali!”
Ma no, ancora più bello! Ho sognato di saper volare e non puoi credere quanto sia stato emozionante! Avevo lunghe ali bianche ed ho planato su mari e monti, fiumi e laghi, paesi e città, fino a sfiorare il sole!”
Il pesciolino era assolutamente rapito da quel racconto, sembrava che quel sogno avesse reso reali tutte le sue fantasie. Tornò velocissimamente a casa per provare quello che aveva descritto il bambino: doveva assolutamente sognare anch’egli di volare. Era l’unico modo per poter finalmente soddisfare la sua curiosità di vedere tutto dall’alto. Peccato però, come già abbiamo ricordato, che i pesci non dormano mai e perciò non possano sognare!
A nulla, dunque, valsero tutti i suoi sforzi. Non servì infilare la testa nella sabbia come un pesce-struzzo né contare i pesci-pecora fino allo sfinimento o assumere tisane di camomillalghe, niente da fare, i suoi occhietti privi di palpebre rimanevano sempre apertissimi sul quel piccolo fondale buio,  e non c’era modo di poter provare neppure in sogno l’ebbrezza del volo.
La tristezza diventò sempre più profonda e da quegli occhi incapaci di dormire sgorgarono tante piccole e vane lacrime che si confusero con le gocce d’acqua del lago.
“E’ la nostra natura”, gli ripetevano i genitori quando lui tornava sull’argomento, “i pesci non volano, ma anche nuotare, in fondo, è come volare. Noi lo facciamo in un mare d’acqua e gli uccelli in un mare d’aria, ed è bene per entrambi rimanere ciascuno nel proprio regno”.
“Sì, però gli uccelli possono vedere il mondo grande e lucente, mentre noi siamo prigionieri di questo lago piccolo e buio”.
“Ricorda, figliolo, le mie parole”, disse il padre, “anche il luogo più bello del mondo può diventare una prigione se non si accetta la propria natura, e anche in un mondo piccolo e buio si può vivere un’esistenza felice se ci si accontenta di quello che ci ha dato il Creatore”.
Ma il pesciolino si era già allontanato. Quelle del padre gli sembravano soltanto vuote frasi di circostanza che nascondevano la realtà: i pesci non possono volare e così non vedranno mai nulla di bello.
Perso in quei pensieri era risalito distrattamente oltre il pelo dell’acqua dimenticandosi degli avvertimenti dei genitori, quando d’improvviso un’ombra lo ghermì e lo strappò dalla protezione del lago. Si ritrovò in un attimo nel becco di un gabbiano che dopo la pesca fruttuosa puntava dritto verso il sole.
Il pesciolino vide lo specchio d’acqua diventare sempre più piccolo, fino a sembrare un puntino d’argento perso nel verde. Durante il volo riuscì finalmente ad ammirare monti, vallate, case dai tetti rossi e bambini che giocavano nei cortili, campanili svettanti e comignoli fumanti e incontrò altri stormi di uccelli che nuotavano in quel mare d’aria come gli avevano detto i genitori. Si sentì finalmente libero, padrone del mondo.
Provò a parlare per esprimere la sua gioia, ma l’aria non era il veicolo giusto per trasportare il suono delle emozioni di un pesciolino fuor d’acqua. Allora si limitò a pensare.
 “Non sono mai stato più felice di così”.
E fu il suo ultimo pensiero. Il gabbiano sollevò il collo con un rapido movimento e lo inghiottì. Se ci fosse stato il tempo, se avesse compreso la situazione, avrebbe ricordato i genitori, i loro consigli, le ultime parole affettuose. Magari rammaricandosi di non aver dato loro ascolto. Oppure chissà, avrebbe semplicemente creduto di essere riuscito a sognare, come il bambino sul pontile in quel  giorno recente eppure ormai lontanissimo.

E’ la nostra natura”, si disse il gabbiano. Che a sua volta, da quando era nato non aveva avuto altro desiderio che tuffarsi fra le onde.