Dimmi, senza me come ti va?
Questa domanda senza risposta girava in loop in una mia canzone di più di vent'anni fa.
Brano dedicato ad una ragazza che era stata mia, o forse lo era ancora, chissà, è passato così tanto tempo che i ricordi si confondono e confondono il corretto fluire del tempo.
Sono certo soltanto che c'eravamo io, una chitarra, la foto di lei, e un manuale di diritto che mi guardava storto, muoviti, studia, che il tempo passa!
Ma per me il tempo era già passato, le parole di quella canzone mi proiettavano nel futuro in cui io, ripensando a quei giorni, mi sarei chiesto di lei, della sua vita proseguita senza di me.
Perché il nodo è sempre questo, la mia assoluta incapacità di vivere il presente.
C'è stato un attimo in cui mi sono sentito felice, una fessura, una crepa.
E subito ho pensato che sarebbe stato bello morire.
La morte migliore, mentre sei felice.
Ma poi mi sono chiesto: passiamo la vita a rincorrere qualche attimo di gioia e proprio allora vogliamo andarcene? Non dovrebbe essere invece lo stimolo per vivere con ancora maggiore intensità, consapevoli che quel minuscolo attimo ci ha dato la prova che in fondo la felicità esiste ed è a portata di mano?
Non sono riuscito a darmi una risposta, la crepa si era già richiusa, l'occasione perduta.
La chitarra è sempre con me. Ho strimpellato due strofe di quella canzone, davanti a me nessuna foto a sorridermi con dolcezza, nessun manuale a minacciarmi, solo un piccolo calendario a ricordarmi che il tempo è passato fregandosene altamente di me e delle mie fisime.
Tra due giorni è Natale, non va bene e non va male.
Ecco la risposta.