Dicono
che il tempo lavi via le ferite. Non so se dicano precisamente così, non sono
mai stato buono con le citazioni e ci sarebbe da ridere visto che faccio
l’avvocato e le citazioni sono il mio pane quotidiano. Perché a pensarci bene
sarebbe più appropriato dire che il tempo guarisce
le ferite, quelle che puoi lavare via sono solo le macchie. Comunque, il senso
è quello: devi aspettare e i bordi di quello squarcio profondo e scarlatto
smetteranno di attirarti, voluttuosi come due labbra carnose, verso il ricordo
del baratro in cui eri sprofondato. In quel buio denso dove alla fine era
diventato più comodo sdraiarti che affannarti per risalire. Un giorno, dicono, aprirai semplicemente gli occhi
e quelle pareti levigate che si stagliavano verso l’alto senza il minimo
appiglio avranno fatto posto ad uno spazio aperto e libero nel quale provare a
ripartire. Verso dove però non te lo dicono, i saputi. Senza capire che il problema sta tutto lì. Perché quando
io, Walter e Federico avevamo mosso i primi passi incerti in quello sconfinato
orizzonte per poco non eravamo inciampati di nuovo.
L’anno
era il 1989, che sarà ricordato per eventi epocali, primo fra tutti la tanto
attesa caduta del muro che divideva le due germanie. Ma noi tre – la banda dei quattro ci chiamava ancora qualcuno
e non vi stupite che il numero non corrispondesse, ci son stati esempi ben più
illustri, da Dumas al nostro insegnante di karate che ci faceva allineare in coppie di tre – appena diciottenni ce ne
ricorderemo soprattutto per l’incredibile avventura che ci trovammo a vivere in
quell’estate, una delle più calde e afose da secoli, a quanto dicono. Ma non state troppo a credere a
quel che si dice in giro, spesso si tratta solo di frasi fatte, pettegolezzi e
voglia di stupire.
Comunque
caldo ne faceva davvero. Infatti Federico, il nostro buon Freddie, esperto di
meccanica, stufo di arrostirsi le chiappe su quei sedili di vera plastica aveva
pensato bene di installare sulla sua 127 Special dal motore truccato un
impianto di aria condizionata smontato da un camion allo scasso di Babbalàno
sulla statale. E il suo compito lo svolgeva fin troppo bene, potente com’era. Così
violentavamo le strade assolate del paese come un asteroide di ghiaccio che
impatta nell’atmosfera, le lamiere abbrustolite del cofano motore
scricchiolavano, i vetri coperti di brina sembravano lì lì per frantumarsi e
finire in mille pezzi come le nostre tonsille stremate dai ripetuti sbalzi di
temperatura.
Fu così
che una mattina di quel luglio rovente, causa la visuale ridottissima, per un
pelo non investimmo una ragazza che si era sporta dal ciglio della strada per
chiedere un passaggio. Non la vedemmo affatto, sentimmo solo la parolaccia
urlata nella nostra direzione quando eravamo ormai passati e allora Freddie,
notoriamente intollerante alla cattiva educazione degli altri, inchiodò e innestò una rapida retromarcia. Disse a Walter
con voce resa roca dal gelo di aprire il finestrino per vedere chi cazzo di
stronzo di merda si fosse permesso di mandarci così inopinatamente a quel
paese.
Bastarono
pochi centimetri e già quegli occhi lucenti e intriganti si erano infilati
dalla fessura nei nostri cuori. E quando il vetro congelato, fra scricchiolii e
crepe, fu finalmente aperto del tutto, il viso perfetto di Lara si era già a
buon diritto impossessato di noi, subito dimentichi della parolaccia,
dell’incidente sfiorato, delle stalattiti che cadevano dal tettuccio come spade
sulle nostre teste a causa dell’ingresso repentino dell’afa.
Se ne stava
lì a guardarci uno ad uno con un sorriso carico di promesse. I seni guizzanti a
mala pena contenuti da una minuscola maglietta con il logo degli Stones – e un
logo sembrava pure la lingua penzolante di stupore di Freddie, novello Jagger -
le mani intrecciate sul bordo della portiera, inscritta nel rettangolo del
finestrino, sullo sfondo le colline coperte di ulivi, ineffabile Gioconda
cilentana.
“Per
poco non mi tiravate sotto”, ammiccò, “ma se mi date un passaggio forse vi perdono”.
Era il
1989 e fu quel finestrino disceso a fatica il nostro personale crollo del Muro.
Avvincente! S'attende capitolo seconda.
RispondiEliminaSAM
Se non capitolo prima!! (Il senso del titolo)
EliminaE non avevo capito, abbi pazienza! :P
EliminaSpero che tu non capitoli mai, allora!
SAM
resisti. tieni duro, come probabilmente avranno fatto i nostri baldi giovinotti alla vista della procace signorina. sviscera, estendi ed espandi e non farti prendere dall'ansia del promettente inizio, ché le promesse stanno alla creatività come un boa constrictor sta al macaco sull'albero...
RispondiElimina:)
a presto, spero.
m.
"non regalar terre promesse a chi non le mantiene", diceva il sommo Faber, una frase che mi piace citare spesso (e come sempre a sproposito).
EliminaAggiungerò nel repertorio delle citazioni sulle promesse questa tua magnifica sulla creatività!!!
A prestissimo, vedrai :)