C’era
una volta un pesciolino che voleva imparare a volare.
Peccato
che la sua casa non fosse un comodo nido su un albero da cui spiccare facilmente
il volo, ma un profondo specchio d’acqua lacustre.
Egli
era molto ma molto curioso, e il piccolo habitat subacqueo in cui trascorreva
le noiose giornate, a malapena illuminate dai pallidi raggi del sole che
filtravano sotto la superficie e le lunghe e buie notti insonni (sappiamo bene
che i pesci non dormono mai!), non bastavano a soddisfare la sua brama di conoscere
il mondo.
Non
gli era sufficiente neppure il monotono panorama che talvolta osservava da
sotto il pelo dell’acqua, un fitto bosco che circondava il lago e quasi
oscurava anche la vista del cielo.
Il
padre provava a rincuorarlo spiegandogli che si trattava soltanto di desideri
passeggeri frutto della tipica irruenza giovanile, ma che col passare del tempo
avrebbe apprezzato il luogo in cui la natura aveva destinato la loro specie, ed
anzi lo aveva più volte avvisato di non affacciarsi sul pelo dell’acqua perché
poteva essere molto pericoloso. Ma il pesciolino non si dava pace. E non gli fu
certo di giovamento l’incontro con un salmone che, tornato nelle acque del lago
dopo aver risalito per lunghi chilometri la corrente, gli raccontò della
vastità degli oceani, dello spettacolo della terra in tutte le sue
manifestazioni, dei colori, dei profumi, dei suoni, delle albe e dei tramonti,
delle infinite specie animali e vegetali che aveva incontrato nel suo lungo
cammino.
Lo
pregò di portarlo con sé nel suo prossimo viaggio, ma il salmone spiegò che non
tutti potevano allontanarsi dal luogo di nascita e il pesciolino non era fra quelle
fortunate specie.
Così,
ancora più triste e sconfortato, il pesciolino si diresse verso la riva per rimanere
da solo per un po’ a smaltire la delusione. Si fermò sotto un piccolo pontile.
D’un
tratto sentì dei rumori. Passi umani. Riconobbe le voci, simili a quelle che
talvolta aveva sentito provenire dalle barchette che solcavano l’acqua del
lago. Non però cupe come quelle dei pescatori, ma dal suono squillante e
cristallino. Probabilmente, pensò, si tratta di cuccioli umani e, curioso come
al solito, si predispose ad ascoltarli.
“Non hai proprio idea di cosa ho sognato
stanotte!” disse uno di loro.
“Ce l’ho eccome, avrai immaginato di segnare
un gol nella finale dei mondiali!”
“Ma no, ancora più bello! Ho sognato di saper
volare e non puoi credere quanto sia stato emozionante! Avevo lunghe ali
bianche ed ho planato su mari e monti, fiumi e laghi, paesi e città, fino a
sfiorare il sole!”
Il
pesciolino era assolutamente rapito da quel racconto, sembrava che quel sogno
avesse reso reali tutte le sue fantasie. Tornò velocissimamente a casa per
provare quello che aveva descritto il bambino: doveva assolutamente sognare
anch’egli di volare. Era l’unico modo per poter finalmente soddisfare la sua
curiosità di vedere tutto dall’alto. Peccato però, come già abbiamo ricordato,
che i pesci non dormano mai e perciò non possano sognare!
A
nulla, dunque, valsero tutti i suoi sforzi. Non servì infilare la testa nella
sabbia come un pesce-struzzo né contare i pesci-pecora fino allo sfinimento o
assumere tisane di camomillalghe, niente da fare, i suoi occhietti privi di
palpebre rimanevano sempre apertissimi sul quel piccolo fondale buio, e non c’era modo di poter provare neppure in
sogno l’ebbrezza del volo.
La
tristezza diventò sempre più profonda e da quegli occhi incapaci di dormire
sgorgarono tante piccole e vane lacrime che si confusero con le gocce d’acqua
del lago.
“E’
la nostra natura”, gli ripetevano i genitori quando lui tornava sull’argomento,
“i pesci non volano, ma anche nuotare, in fondo, è come volare. Noi lo facciamo
in un mare d’acqua e gli uccelli in un mare d’aria, ed è bene per entrambi
rimanere ciascuno nel proprio regno”.
“Sì,
però gli uccelli possono vedere il mondo grande e lucente, mentre noi siamo
prigionieri di questo lago piccolo e buio”.
“Ricorda,
figliolo, le mie parole”, disse il padre, “anche il luogo più bello del mondo
può diventare una prigione se non si accetta la propria natura, e anche in un
mondo piccolo e buio si può vivere un’esistenza felice se ci si accontenta di
quello che ci ha dato il Creatore”.
Ma
il pesciolino si era già allontanato. Quelle del padre gli sembravano soltanto
vuote frasi di circostanza che nascondevano la realtà: i pesci non possono
volare e così non vedranno mai nulla di bello.
Perso
in quei pensieri era risalito distrattamente oltre il pelo dell’acqua
dimenticandosi degli avvertimenti dei genitori, quando d’improvviso un’ombra lo
ghermì e lo strappò dalla protezione del lago. Si ritrovò in un attimo nel
becco di un gabbiano che dopo la pesca fruttuosa puntava dritto verso il sole.
Il
pesciolino vide lo specchio d’acqua diventare sempre più piccolo, fino a sembrare
un puntino d’argento perso nel verde. Durante il volo riuscì finalmente ad
ammirare monti, vallate, case dai tetti rossi e bambini che giocavano nei
cortili, campanili svettanti e comignoli fumanti e incontrò altri stormi di
uccelli che nuotavano in quel mare d’aria come gli avevano detto i genitori. Si
sentì finalmente libero, padrone del mondo.
Provò
a parlare per esprimere la sua gioia, ma l’aria non era il veicolo giusto per
trasportare il suono delle emozioni di un pesciolino fuor d’acqua. Allora si
limitò a pensare.
“Non
sono mai stato più felice di così”.
E
fu il suo ultimo pensiero. Il gabbiano sollevò il collo con un rapido movimento
e lo inghiottì. Se ci fosse stato il tempo, se avesse compreso la situazione, avrebbe
ricordato i genitori, i loro consigli, le ultime parole affettuose. Magari rammaricandosi
di non aver dato loro ascolto. Oppure chissà, avrebbe semplicemente creduto di
essere riuscito a sognare, come il bambino sul pontile in quel giorno recente eppure ormai lontanissimo.
“E’ la nostra natura”, si disse il
gabbiano. Che a sua volta, da quando era nato non aveva avuto altro desiderio
che tuffarsi fra le onde.
Nessun commento:
Posta un commento