Sto
cavalcando un focoso destriero lungo i viali alberati della mia tenuta di
campagna quando un trillo mi strappa ai confortevoli meandri del sonno.
Riconosco
la melodia, è una sonatina di Schubert. Probabilmente l’opera 137 n. 2, anche
se l’esecuzione, molto meccanica, lascia a desiderare.
Non
capisco subito da dove provenga, del resto nel castello a quest’ora del mattino
c’è sempre una notevole animazione, l’attività quotidiana riprende ed ognuno è
intento alle proprie occupazioni, i suoni si rincorrono. Non fosse stato per la
sequenza inconfondibile di note avrei potuto pensare al maggiordomo che aveva
pestato la coda di un gatto in cucina. Più probabilmente è mia figlia che sta
esercitandosi col violino ed ha preso una stecca.
Sono indeciso
se alzarmi oppure girarmi dall’altro lato e continuare il sogno interrotto – il
cavallo sta sicuramente scalpitando per riprendere il galoppo! – quando si apre
la porta della mia camera da letto.
“Chi è
che si permette di entrare senza prima annunciarsi?”
Nessuna
risposta. Ma sento dei passi. Qualcuno ha fatto ingresso e si avvicina al mio
talamo. Le imposte sono ancora socchiuse, il sole che pure sarà già abbastanza
alto si è fatto strada a malapena attraverso le fessure per cui la stanza giace
in quella che fino a un momento fa era una piacevole penombra e ora è diventata
invece nascondiglio ideale per un’insidia.
Sono
già scampato in vita mia a più di un attentato. Non è per niente facile essere
il signore di un feudo così esteso. Occorre usare il pugno di ferro con i
sudditi, e io l’ho fatto. E perciò sono molti quelli che mi odiano e alcuni di
loro hanno provato anche ad uccidermi, quando se n’è data loro l’occasione. Non
è molto tempo che un villano eludendo le guardie si introdusse nel mio appartamento
brandendo un coltellaccio e si avventò contro di me. Ma era privo di
quell’esperienza di combattimento datami dai lunghi anni di accademia, così che
non mi fu difficile scrollarmelo di dosso e con un gesto elegante trafiggerlo
con la mia daga.
Da allora
nessuno più aveva più osato.
Eppure adesso
c’è quest’ombra inquietante.
Calcolo
la distanza fra il letto e la porta. Troppa, per essere certo di poter fuggire
incolume. E poi scappare non è nel mio carattere. Come un capitano non
abbandona la propria nave, neppure io abbandonerò mai il mio castello.
Ma la
porta si apre di nuovo, altre piccole ombre fanno ingresso nel mio sancta sanctorum.
Gli
occhi si stanno abituando all’oscurità e mi accorgo con sollievo che riesco ora
ad individuare quelle figure, a scorgerne i contorni, a capire la loro
posizione e dunque a potermi difendere.
Non
sono invece sicuro che loro mi stiano vedendo. Sebbene di certo armati di
cattive intenzioni nei miei confronti, piuttosto che dirigersi alla mia volta
percorrono la stanza lungo il tappeto che si srotola da una porta all’altra.
Sembrano disorientati quasi come me, si guardano intorno, osservano gli arredi
e i quadri alle pareti.
Scivolo
silenziosamente al lato del letto, provo a nascondermi, ma continuo a osservare
da oltre il bordo del materasso. Non l’avessi mai fatto! Le mie pupille
dilatate rimandano un’immagine a dir poco soprannaturale che mi fa contorcere
dallo spavento. A me, che pure ho affrontato nemici terribili.
Perché non
si tratta di uno sporco villico armato, di quelli che solitamente vogliono la
mia vita e che ho fatto giustiziare a grappoli.
Nel
buio vedo brillare due occhi di bambino.
Il
corpo è diafano, emana una luce fredda. Ne distinguo il contorno, esaltato da
una minuscola fiaccola – almeno così mi sembra – che la piccola anima reca con
sé, ma che contrariamente ad ogni legge fisica invece di illuminare lo spazio
circostante illumina soltanto il suo esile corpicino. Un fuoco fatuo. Uno
spettro, certamente.
Nella
mia esistenza ho affrontato vittoriosamente ogni genere di insidie, ma sono
stato sempre un seguace del positivismo, non ho mai creduto ai fantasmi. Solo
che, a differenza di molti, questo mio scetticismo non mi ha generato
disincanto rispetto a fenomeni apparentemente senza spiegazione, tutt’altro, ne
sono stato sempre sanamente terrorizzato.
Così,
invece di reagire come avrei fatto in altre occasioni, mi rannicchio ancora di
più accanto al letto. Dev’essere l’anima di un fanciullo. Forse il figlio di
uno di coloro che ho mandato a morte. Torna a vendicarsi. E i fantasmi non puoi
trafiggerli con la spada. Provo anche a brandirla, è ancora accanto al
baldacchino, ma non ci riesco, sembra sfuggirmi, un miraggio anch’essa?
Sconvolto,
sono preso da un mancamento, perdo per un attimo conoscenza.
Non
sono più a cavallo del mio destriero. Ora sono il mio falco, al quale il
falconiere ha tolto il cappuccio per lanciarlo verso la luce. Le mie braccia
sono ali, penne la mia armatura, le mie mani artigli pronti a ghermire la
preda.
Sorvolo
il castello, ne apprezzo le forme regolari, geometriche, le mura possenti dalle
quali ho fatto scagliare frecce micidiali, le torri merlate donde le mie
guardie osservano i movimenti nelle valli circostanti e prevengono ogni
pericolo.
Sono un
falco, volo più in alto di tutti gli altri uccelli. Disegno ampie volute nel
cielo, ora sono sulla torre dell’orologio, gli altri volatili fuggono
atterriti, come hanno sempre fatto tutti i poveracci al mio passaggio pensando che
la morte avesse scelto il loro turno.
Con la
mia vista fenomenale scorgo un movimento molti metri più in basso, nel cortile,
nei pressi della splendida fontana monumentale. Un pettirosso che sta chinando
il collo per abbeverarsi. Sarà quella la mia preda di oggi.
Sono un
falco, reclino le ali in modo da fendere l’aria e scendo in picchiata.
Non
vedo più le nuvole, le torri, le mura, i merli, le campagne, nei miei occhi
soltanto la preda, un filo invisibile ci unisce da quando l’ho eletta a mio
obiettivo e quel filo sto percorrendo alla velocità del suono, gli artigli già
in posizione per afferrarla, quando il pettirosso si volta verso di me e i suoi
occhi…
… i
suoi occhi sono gli stessi del bambino!
Mi
risveglio affannato, il cuore sembra esplodermi nel petto.
Sono rotolato
sotto all’alcova, e da lì mi vedo circondato da tanti piedini.
Le
piccole anime mi hanno finalmente individuato.
Ora il
pettirosso sono io e loro i falchi.
Portatemi
con voi, anime del purgatorio! Fatemi scontare una volta per tutte le mie
malefatte! Siete i figli morti di fame perché diventati orfani. Siete i rami potati
quando l’albero è stato stroncato. Siete i fiori mai sbocciati, i frutti
deturpati dalla siccità e dal terribile uragano. Leggetemi la sentenza,
condannatemi ad espiare la morte prematura e violenta dei vostri genitori per
mano mia!
Sono
qui. Come il capitano non abbandona la nave, io non abbandonerò mai il castello,
perché qui devo pagare per le mie colpe. Giorno dopo giorno, mese dopo mese,
anno dopo anno.
Poi di
nuovo un trillo, questa volta non è Schubert ma un motivo che non conosco.
Forse la musica dell’inferno, il sabba che mi stanno preparando. Un ritmo
tribale, straniante, che sale, cresce sempre più forte. E io, sconvolto, perdo
di nuovo coscienza. Questa volta sono un serpente, scivolo via in una fenditura
fra le rocce.
Ma
tornerò, non lascerò mai il mio castello.
“Massimo,
per piacere, rispondi a quel dannato telefono! Hai scelto una suoneria davvero
orribile!”
“Mi
scusi signora maestra, è il telefono di mio fratello grande, forse è una
canzone di Marilyn Manson… Lo sa che quello è fissato con il death metal!”
“Che
tempi! Capisco che ormai ‘sti cellulari ve li portate dovunque, pure qui in
gita al museo del castello dove invece dovreste solo imparare, ma almeno fate
come Sabrina, che si è messa la suoneria di musica classica. Che era,
Schubert?”
“Ah,
non lo so mica, forse era Lupèn, Sciopèn, come si chiama lui, è una cosa che
l’ha messa papà, duepalle, appena posso la cambio. E poi questa stanza è in
penombra, dobbiamo tenere accesi i telefonini per farci luce.”
“E’ per
creare atmosfera, questa era la camera da letto del feudatario. Si narra fosse
una persona assai sanguinaria con i propri sudditi, ma si trattava bene,
guardate che stanza elegante, osservate, avvicinatevi al letto, così,
tutt’intorno, che arazzi, che sfarzo…”
“Davvero
forte, signora maestra, e che letto morbido, non sembra una cosa di due secoli
fa, sembra che ci abbiano appena dormito! Uh, e guarda lì, c’è ancora la
spada…”
“Sapete?
Morì in un attentato avvenuto proprio in questa stanza: un contadino al quale,
per rubare i campi, aveva fatto trucidare la famiglia lo aggredì mentre era a
letto. Il duca riuscì a ucciderlo proprio con quella spada, ma morì anch’egli
per le ferite riportate”.
“Brrr, che paura…”
“i'm not a slave to a god that doesn't exist…”
“Massimo,
‘sto diavolo di telefono lo vuoi spegnere una buona volta?”
mitico :)
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