Ci si abitua a tutto.
Alla solitudine, ma anche alla compagnia di persone speciali.
Di quelle normali, un po’ banali, lievemente ignoranti no. Perché sono rassicuranti, ti fanno sentire migliore, e in più hai sempre la speranza di una piccola sorpresa, che azzecchino un congiuntivo, comprino una panda nuova, mettano le patatine fritte sulla solita margherita.
Invece quelle speciali, dopo l’esaltazione iniziale, diventano routine, ti annoiano a morte, e poi oltre a farti sentire inferiore, visto che si sono innamorate proprio di come apprezzavate il loro essere speciali, vogliono che glielo ricordiate continuamente.
Eduardo Di Filippo: cara, scusa che te scéto, ma t’aggia rice subito sta scena geniale c’aggio pensato!
Moglie: Che palle, ma duormi, ha da passa’ ‘a nuttata...
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Madame Curie: Amore, ho inventato il radio!!!
Monsieur Curie: ok ma abbassa il volume, vorrei riposare.
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Ligabue: Piccola stella senza cielo, ascolta, ho scritto una nuova canzone per te!!!
P.S.S.C.: uh mamma, sempre i soliti accordi...
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Perché il livello perennemente elevato non fa più notizia, annoia e genera pure fastidio, a un certo punto. Basti pensare ai governi di un tempo, gente seria e preparata, un po’ grigia, soppiantata da buffoni chiaramente più ignoranti e inadeguati ma dai quali potersi attendere finalmente delle sorprese (negative, ma tant’è).
Del resto, in una relazione di coppia ci si ricorda le consuete banali erezioni o quell’unica defaillance?
Ci si ricorda la rosa regalata o le spine che ci hanno punto le dita?
La moglie di Einstein quando lui faceva le puzzette nel letto riusciva a non farci caso pensando che è tutto relativo?
L’impresa eccezionale è essere normale, cantava Lucio Dalla, un altro che non c’è mai riuscito, o andate a riascoltare Quattro stracci di Guccini, per capire il contrasto stridente fra le diverse visioni della vita.
Per quanto mi riguarda, entrato da un paio di giorni nel mio secondo tempo (spero nessuno mi spoileri il finale) mi sono proposto per le scene che mi mancano, per renderle più attraenti, di essere il più normale possibile, ignorante il giusto, con idee rare, poco originali, come questo post, o come la donna seduta di fronte a me, nel treno, che legge un libro che trovo stupido, e però paradossalmente proprio per questo avrei tanta voglia di parlarle per chiederle cosa ci trova.
Perché, come in un quadro di Hopper, lo straordinario talento dell’artista non sta nel soggetto, banale e quotidiano, ma nell’aver deciso di rappresentarlo.
Auguri allora...io viaggio per i sessanta, i 50 non mi hanno impressionato granché, forse perché ero in una fase involutiva ed allo stesso tempo caotica della mia vita, cappottato dalle emozioni e incapace di riconoscerle.
RispondiEliminaDel tuo post salvo l'eroico finale. Perché rappresentare un'idea, una visione, anche banale, e donarle la dignità dell'esistere, è compito talentuoso.
Ed il talento è decisamente un regalo che non ti serve.
Auguri very special. ;)
Deve essere così per tutti, allora. Anche a me, questi 50, mi hanno sorpreso in un momento complicato della vita, e, insomma, non mi aspettavo fossero così. Ho appena letto il romanzo di Piccolo, “l’animale che mi porto dentro”, il cui finale riassume perfettamente la situazione: quella di sentirsi “stocazzo” quando invece non hai proprio niente in mano, se non rabbia ed età. Ma confido che, pur in un’esistenza imperfetta come questo post, il finale si riscatti. È la volta buona che faccio un viaggio...
EliminaGrazie degli auguri, ricambio 😉