Un sabato pomeriggio come questo, con la
scuola appena finita e il sole che finalmente sembrava essersi accorto che l’estate
era alle porte, noi diciassettenni avremmo cercato l’amico più grande e un po’
tonto, ma che aveva già la macchina, per farci scarrozzare al mare. Io avrei insistito
per portare l’ombrellone ma mi avrebbero preso in giro, persino quelli biondini
con la pelle chiara che in mezzora diventavano una mortadella. Saremmo andati a
Velia, al Lido Il Timoniere. Non so perché, in effetti. La spiaggia era
stretta, il mare subito profondo. Forse per la colonia. Ma non è che ti
lasciavano avvicinare, a quelle ragazze, ci stava lo steccato, le guardavi da
lontano.
Il Lido a ogni nuova stagione era stato
abbattuto dalle mareggiate, c’era solo lo scheletro di alluminio, e in giro
tanti pannelli di gommapiuma rivestiti di fòrmica, che se ce n’era ancora
qualcuno intero ci saltavamo sopra finché lo sfondavamo. Poi, verso metà luglio
di solito lo sistemavano, ma un sabato pomeriggio come oggi non ci sarebbe
stata neppure la possibilità di comprare un gelato. Io al mare prendevo sempre
il camillino, quelli di una volta, quando c’era solo la vaniglia in mezzo ai
due biscotti, fu solo più tardi che misero anche la cioccolata, comunque io
mangiavo sempre solo la parte a vaniglia, l’altra la regalavo. Ma prima leggevo
la curiosità che c’era scritta sopra. Ne ho imparato di cose, dai biscotti. E
si vede, del resto.
Comunque al mare si facevano cose che
adesso sembrerebbero quantomeno strane. Per esempio, usciti dall’acqua, ancora
bagnati ci si rotolava nella sabbia per fare le cotolette impanate.
Si faceva anche un’altra cosa che ora non
è più contemplata. Mangiare. Intendo mangiare seriamente. A volte la pasta
asciutta, addirittura la carne, e poi l’insalata. Ricordo cetrioli sbucciati
sulla spiaggia, pane e pomodoro, conditi con bottigliette di crodino in cui le
mamme mettevano olio e sale.
E quando si andava con le famiglie, c’era
una cosa che oggi sembra forse lontana, ma allora non mancava mai. Prendere le
botte. Il bagnasciuga sembrava una pista di atletica, con le mamme che
rincorrevano i figli e se questi per caso riuscivano a distanziarle partiva il
lancio del sandalo, del “chianiello”, specialità in cui la mia era campionessa
olimpica.
Ma in un sabato come questo, già più
grandi, saremmo andati solo noi amici. E avremmo fatto lunghe camminate, di
solito la più gettonata era da fiume a fiume, cioè da una foce all’altra dei
corsi d’acqua che si gettano nel mare fra Ascea e Casalvelino. Raggiunto il
fiume, lo avremmo ripercorso per un po’ a ritroso, saltando sui cubi di cemento
che ne delimitavano il corso, qualcuno di noi avrebbe raccolto un po’ di quelle
piante fluviali, una specie di canne con una fioritura marrone cilindrica, che
chiamavamo “i cazzi”, chissà quale fosse il nome giusto, e che negli anni
ottanta le trovavi nelle case, nei vasi, come piante ornamentali di dubbio
gusto.
Ci saremmo fermati ogni tanto, per
tuffarci, e poi di nuovo a fare le cotolette, idioti e felici, finché il sole
fosse calato, e a quel tempo non c’erano telefonini per immortalare i tramonti,
ma penso fossero belli anche allora. Quando saremmo tornati in macchina,
avremmo un po’ preso in giro il parcheggiatore, un signore anziano – magari non
lo era, ma ci sembrava così – con un berretto, piuttosto scorbutico, ma sono
certo che lo avremmo riempito di chiacchiere e non gli avremmo dato una lira.
Qualcuno diceva che a chi non pagava rigava la fiancata, ma tanto la macchina
non era la nostra. Lo stesso valeva anche per la sabbia che portavamo sui
sedili, “ma vi siete puliti bene?” chiedeva il malcapitato di turno, “hai
voglia!”, rispondevano quelli che stavano seduti dietro, e si davano botte coi
gomiti per non ridere. E si tornava a casa, coi finestrini spalancati e una
mano fuori, a coppa, dicendo a quello che guidava di andare più veloce. Perché non
so se lo sanno i ragazzi di oggi, ma l’aria nel palmo della mano, a una certa
velocità, prende la forma di una tetta.
E per un gruppo di ragazzi così cretini,
che invece di corteggiare le ragazze passava le giornate al mare a fare le
cotolette e a schivare chianielli, quello era l’unico modo per toccarle,
sicuro.
hai tocchi raffinati per raccontare le minime felicità di allora.
RispondiEliminale cotolette e l'aria a forma di tetta sono impareggiabili
massimolegnani
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EliminaSono lusingato, il mio intento era proprio quello, narrare in tono lieve aneddoti un po’ pasoliniani, proletari. Non conoscevi l’espediente delle tette? 😁
Ricordi il miglior Piccolo e i suoi momenti di trascurabile felicità, e vengono in mente gli anni migliori sulle nostre spiagge d'infanzia, con amici e parenti spariti via per un motivo o per l'altro.. ma le tette d'aria le tocco ancora adesso.. che poi ti capitano tette rifatte, che quelle con la mano a coppa fuori dal finestrino, gli danno davvero una pista (tipo quelle imbastite col culo del più piccolo, trainato per le gambe sulla sabbia, per poi uccidercisi di infinite gare con le palline di vetro...)
RispondiEliminaMi fai davvero un gran complimento, Piccolo è uno dei miei autori preferiti! Hai ragione, nulla di oggi è paragonabile quanto a emozione. Nessuna corsa di formula uno ci coinvolge quanto la pista di sabbia con le biglie, nessuna tetta ci sorprende come la prima volta che palpeggiammo l’aria 😊
EliminaConcordo con massimolegnani, anch'io ho gradito il racconto ma quei due dettagli della cotoletta e della tetta sono assolutamente fantastici.
RispondiEliminaL’arte di arrangiarsi di cui al sud siamo maestri :) Grazie dell’apprezzamento!
EliminaHo riso tanto leggendo il tuo post.
RispondiEliminaSai che non avevo mai pensato alla somiglianza tra il palmo della mano al vento e una tetta?
Ma sono solo una donna, oltretutto giovane. 😅
Il tuo post mi è piaciuto un sacco.
Asciutto ma denso di ricordi emozionanti.
Spero di leggerne presto di nuovi.
Buon fine settimana.
Che gentile, Claudia, il tuo apprezzamento mi ha fatto davvero piacere! Quasi come accarezzare una tetta nel vento a dodici anni 😊 Grazie di essere passata
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