Dopo una lunga ricerca (i documenti disponibili sono pochissimi) ho composto l'albero genealogico della mia famiglia a partire dalla seconda metà del 1700.
Un dato interessante salta all'occhio. In un centinaio e più di miei antenati in linea retta, in almeno sei generazioni, non c'è nessuno che sia originario di un paese diverso, tutti membri di famiglie del mio piccolo comune di appena mille anime. Eppure non è un centro isolato, anzi è contiguo a diversi altri di maggiori dimensioni, gli scambi commerciali avrebbero dovuto essere frequenti, e così le occasioni di intrecciare relazioni interpersonali.
Invece non è andata così, i miei avi si sono interessati sempre e solo alla vicina di casa.
Non mi risulta neppure, salvo rarissimi casi, che vi siano state nozze fra parenti (quantomeno fra parenti di rilievo giuridico). Le mie innegabili tare non posso addebitarle a questo.
Eppure i miei antenati non sono stati affatto pigri. Tanto per dire, fra di essi si annoverano garibaldini e briganti, gente che ha viaggiato più volte fra Italia ed America, lavoratori instancabili, carbonari, soldati, vedove che hanno tirato su da sole intere famiglie, donne che hanno sfidato i pregiudizi. Gente umile ma non rassegnata alla propria condizione, persone che hanno creduto in un ideale, disposte ad emigrare oltreoceano, a combattere battaglie senza compenso, ad unirsi ad una guerra mondiale finita con una vittoria di Pirro e ad un'altra persa in partenza.
Ma le donne e gli uomini della mia famiglia, nel loro intricato percorso, hanno voluto accanto a sé sempre e soltanto uomini e donne dello stesso paese, quelli che sai a chi appartengono, quelli che non ti sorprendono ma neppure ti deludono, quelli che non li riconosci col nome e cognome (che in un piccolo paese come il nostro spesso erano e ancora sono tutti uguali), ma col soprannome, per un vizio, un vezzo, un colore dei capelli, un modo di dire particolare.
Abbiamo sempre amato il nostro paese, se siamo stati costretti a lasciarlo è stato a malincuore, e quando abbiamo potuto siamo sempre ritornati. Perché c'era sempre qualcuno che ci aspettava.
Perché la nostra metà l'abbiamo scelta sempre fra chi viveva accanto a noi, in modo che nulla potesse convincerci ad abbandonare il luogo in cui siamo nati.
Così oggi mi affaccio dal mio balcone e vedo ancora una volta il panorama che vedeva il mio trisnonno. Il castello, il campanile, e il fiume che scorre proprio sotto casa mia e che conduce verso quel mare e quell'orizzonte che vedo in lontananza, nel quale il mio sguardo talvolta si perde, è vero, ma rimango saldo all'albero maestro, insensibile al canto delle sirene.
Perché il legame con le nostre radici è saldo e sincero.
E i nostri amori, da sempre, a chilometri zero.
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